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Finalista |
1993 |
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Joyce Carol Oates |
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Acqua nera |
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Black Water, 1993 |
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Il Saggiatore, 2020 |
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4 luglio, metà anni ’90. Grayling Island, Maine. Una Toyota nera corre a tutta velocità. È notte e gli alberi riducono la visibilità. Al volante un senatore degli Stati Uniti, uomo grande e rassicurante, guidatore aggressivo e alticcio, macina la strada con aria decisa: gli restano solo pochi minuti per raggiungere il traghetto che porterà lui e la giovane Elizabeth «Kelly» Kelleher, appena conosciuta nel corso di un esclusivissimo party, verso la terra ferma. Poi, una curva, gli pneumatici perdono aderenza, l’auto impazzita esce di strada, sprofonda nell’acqua nera dell’Indian River. L’uomo riemerge dalla palude e si salva. Ventisei anni, una laurea in Storia americana, una ricerca sulla figura del Senatore, Kelly Kelleher perde la vita. Da questo episodio di cronaca che sconvolse l’America (l’uomo era Ted Kennedy, la ragazza la sua giovane segretaria), Joyce Carol Oates ha tratto un romanzo intenso, una storia che scorre nei minuti in cui Kelly, intrappolata nell’auto, ripercorre per rapidi lampi le ore precedenti l’incidente e la sua intera esistenza. La coscienza abbandona la ragazza, le immagini le affollano la mente mescolandosi e correggendo la sua imprecisa visione della realtà. Ricordi e riflessioni, impressioni e brani di dialogo si alternano in una serie di schegge sempre più confuse. Attorno a questa cupa istantanea, reiterata senza pietà capitolo dopo capitolo, Joyce Carol Oates assembla un quadro brutale della tracotanza del potere e della politica. Acqua nera si rivela un’opera lucidissima, claustrofobica e disturbante che concilia sperimentazione linguistica e critica politica e sociale in un terribile, perfetto congegno narrativo. Joyce Carol Oates è una delle voci più importanti della narrativa americana contemporanea. Finalista al premio Pulitzer con Per cosa ho vissuto, uscito per il Saggiatore, Oates ha vinto tra gli altri il National Book Award, il Pen Faulkner Award e il Prix Femina Étranger. |
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