Stelio Mattioni - Il re ne comanda una



Stelio Mattioni

Il re ne comanda una

finalista 1969

Adelphi, 1968

 

Stelio Mattioni ha una vocazione che sta diventando sempre più improbabile, quella dell’inventore di storie, del favolista irreprimibile, che trasforma immediatamente qualunque vicenda nella geometria della favola, anche se le sue favole non si dichiarano mai come tali. In questo romanzo l’apparenza è di una storia di gente comune in un ambiente comune, in una Trieste dimessa e anonima, ma fin dalle prime pagine ci accorgiamo che la cornice veristica viene spezzata dall’azione di una forza comica che scardina e deforma continuamente il contesto della narrazione, assumendovi il grottesco come normalità – e questo primo squilibrio, che sembra provocato dalla mano maligna di un trickster, ci introduce già, senza parere, al piano nascosto del libro, il piano della favola. Trascinandosi dietro le due bambine, una giovane donna, oppressa dalla squallida monotonia della sua vita coniugale, abbandona la casa per cercare, senza volerselo troppo confessare, una grande avventura, un mondo diverso, e si rifugia presso uno strano signore, creditore di suo marito, misteriosamente autoritario e convinto del proprio potere e fascino. La casa di quest’uomo sarà fin troppo letteralmente la novità cercata. A poco a poco, in una rapida ed esilarante successione di scene, la protagonista si renderà conto di essere finita in un mondo chiuso, all’interno del mondo – e il libro diventerà la storia della scoperta di questa isola inquietante. Entrando in quella casa si passa dalla indeterminatezza, dalla espansione indefinita e confusa della realtà esterna, a un àmbito perfettamente conchiuso e autosufficiente: per stanze e corridoi, per un giardino selvaggio, intorno a un misterioso laboratorio, non si sa a che cosa adibito, si muove una corte promiscua e gerarchica di donne e altri personaggi, tutti sottomessi – anche se non manca una certa fronda, autorizzata – al possente e ridicolo padrone di casa, che impone leggi scarse e ambigue, ma infrangibili. Ogni situazione quotidiana è codificata, i vari personaggi si muovono sulla scacchiera di un gioco prestabilito, come per uno statuto immemorabile; e al centro di tutto – la nuova arrivata avrà presto modo di accorgersene – è la complessa regolazione delle cerimonie erotiche. Quella minuscola società tende, infatti, alla forma dello harem. Divisa fra la rivolta all’ordine dispotico e una sotterranea coscienza della sua fascinazione, la protagonista passa attraverso una ridda di colpi di scena, attraverso tutte le fasi di questo gioco sorprendente, fino all’ultima mossa. Mattioni non ci offre delle chiavi per intenderlo: racconta e basta. Ma il disegno della narrazione pone costantemente il lettore di fronte a una sola domanda, che si presta ad amplificazioni inarrestabili: che cosa significa accettare il gioco?

 

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