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Vittoria Ronchey |
Figlioli miei, marxisti immaginari |
Candidato 1975 |
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(Edizione Rizzoli, 1975) |
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In che misura è possibile ancora coltivare gli ideali liberali, la tolleranza per le idee altrui, o stimare positiva la più ampia dialettica intellettuale? Oggi, tutto questo potrà apparire utopistico: esiste una repressività dell'antirepressività, come esiste lo snobismo nel non-snobismo. In questo libro, Vittoria Ronchey racconta un'esperienza traumatica: un'insegnante animata dalle migliori intenzioni, segnata da un irrefutabile liberalismo, dall'Italia del nord capita a Roma, in un liceo dove è più accesa la contestazione, dove più accigliata è la smania per le nuove sperimentazioni didattiche. Quale il risultato? Dopo qualche mese, al pari del Candido volterriano piovuto in una terra dove, sotto le più oneste apparenze, lo stesso alfabeto è diventato irriconoscibile, l'insegnante subisce un «processo» che la «base» studentesca le intenta. È costretta ad abbandonare posto e ideali: si rifugia in una immedicabile amarezza. È, questo racconto, un apologo sull'Intolleranza? Certamente, ma è anche un romanzo a tutti gli effetti, poiché è avventurosa, è romanzesca la scoperta progressiva che la protagonista di Figlioli miei, marxisti immaginari fa della realtà diversa in cui è capitata. Il mondo della scuola conosce oggi imprecisabili imperativi: li formulano gli studenti, li ribadiscono alcuni docenti. Si dice che la cultura presa nel suo insieme non sia altro che «serva» del sistema. Ma chi, in definitiva, è al servizio degli scopi vanificanti del cosiddetto sistema: colui che rifiuta tutta intera l'eredità storica del pensiero occidentale, o colui che ritiene che in questa eredità esista comunque una continuità positiva da non perdere o sprecare? In Figlioli miei, marxisti immaginari, accanto a una capacità tutta ironica di racconto, si sviluppa l'amara meditazione di quanti non desiderano vedere sacrificati, sull'altare della demagogia e della velleità, i beni inalterati della cultura. |
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Vittoria Ronchey - Figlioli miei, marxisti immaginari
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