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Antonio Porta |
Invasioni |
Vincitore poesia 1984 |
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Mondadori, 1983 |
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Tante volte abbiamo notato come la trasformazione del contesto apra vertigini di senso, e quel disorientamento inevitabile, che introducono a una nuova ricerca. La necessità di “nuovo”, in nessuno forse come in Antonio Porta, produce un’esasperazione linguistica in cui i parossismi delle immagini tendono a ri-creare dalla “vacanza” del senso dei significati. Il surrealismo straniante, le localizzazioni insolite – «Là dove era Firenze / un lago così blu stende il suo dominio» – tendono a una trasformazione delle referenze e manifestano un’angoscia primordiale per plausibili, imminenti, scomparse. La simbologia giocosamente apocalittica muta in qualcosa di molto serio. Si possono estrarre miti di rinascita: ribollire carnale che precipita nell’immutabile come in «la vagina che si apre sporge una lingua di vitello / un albero affonda le sue radici nell’utero». Se il soggetto era stato «felice» nel suo vecchio presente, in quello attuale può solo esprimere «l’ultimo senso» nella sua assenza di voce (almeno seguendo una direzione tradizionale nell’articolazione dei significati), perché a restare è un “canto” che «soffia senza lingua». Eppure, questo “ultimo senso” segue «nello stesso istante una folata di vento […] / sospinge la vita di continuo / e intreccia i semi tra loro, li annoda alla terra» (come si può leggere in un altro passo del libro), in una volontà di rinascita, di “nuovo” incontro che superi, in una speranza quasi utopica, ogni “invasione”. |
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Antonio Porta - Invasioni
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