Francesca Sanvitale - Il cuore borghese


Francesca Sanvitale

Il cuore borghese

Vincitore Opera prima narrativa 1972

Vallecchi, 1972

 

    Con Il cuore borghese di Francesca Sanvitale, sono convinto di presentare al pubblico un libro insolito e per molti aspetti nuovo nel panorama della nostra narrativa: e certamente ricco in misura straordinaria di un impegno intellettuale e morale che colpisce per una sua quasi sinfonica severità. Metto l’accento, andando contro le abitudini anche se si tratti di un esordiente, più sul libro che sullo scrittore. Lo scrittore potrà evolversi: la Sanvitale ci si mostra in queste pagine continuamente reattiva, sino al tormento, di fronte alle sue letture, stretta in un dialogo appassionato con gli stimoli e i problemi posti dal grande romanzo europeo del Novecento, e ancora in una posizione di «in guardia» di fronte alle proprie possibilità espressive; quasi che nel paziente e sapiente mosaico del suo lungo racconto ella avesse trascritto una sua propria liberazione. Ma il libro che ci sta davanti è un risultato maturo e compatto nella sua travagliata necessità, si svolge modulato secondo una frequenza interna di calcolata, difficile intensità, e si pone quindi come un fatto di cultura ben individuato e irrefutabile, stimolante d’attualità ma dotato dell’autosufficienza che è propria delle esperienze portate sino in fondo. Di che tipo è questa esperienza? Preferisco lasciare la parola a una lettera dell’autrice: «Riconoscere con chiarezza i propri limiti – di cultura, di classe, di carattere, di formazione, di sentimenti – ha significato per me rifiutare immediatamente sperimentalismo e realismo. Di conseguenza bisognava che accettassi psicologia e narcisismo, l’ambiguità insomma non sempre gradevole e gradita del proprio stato. E infine, cosa più difficile (perché sembra la più presuntuosa ed è invece un atto di resa), bisognava che accettassi la mediazione della cultura con la quale non potevo evitare “esistenzialmente” di fare i conti e alla fin fine di crederci; sarebbe stato ipocrita ogni tentativo populista. La vita dunque “doveva” passare attraverso questo specchio deformante in cui riconoscevo però, implicitamente, anche uno strumento di realtà». Ecco quindi che Punica fonte autobiografica riconosciuta dalla Sanvitale nel suo lavoro è la cultura, «individualistica e borghese», della sua formazione: Broch e Musil in primo luogo, e Mann, letto da Lukács; ma anche Schopenhauer (Principium individuationis), Sartre (Pensieri), Nietzsche (Il Trovatore), Kierkegaard…, tutta 1a grande Odissea dell’Ulisse esistenziale nel mondo moderno. Una cultura ripercorsa con fervore ideologico, nella tensione verso un «realismo critico» sentito soprattutto come giustificazione morale; ma vissuta drammaticamente («romanzescamente») come condizione disperata, ineludibile, e ancora una volta, ma questa volta alla lettera, esistenziale. Il cuore borghese è un romanzo di idee, un Bildungsroman, il cui vero protagonista è l’intellettuale moderno, laico, che da Leopardi in poi cerca la verità nella verità del proprio interrogarsi. Il tema, come si vede, non è da poco, e merito di Francesca Sanvitale è di non essere stata da meno del suo coraggio.

 


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