Gian Franco Vené - Vola colomba


 

Vincitore 1991

Gian Franco Vené

1990

Vola colomba

Vita quotidiana degli italiani negli anni del dopoguerra 1945-1960


Mondadori

Mille lire al mese, Coprifuoco, Vola colomba. Quattro anni, dal 1988 al 1992, e una trilogia di best sellers. Questa è l' impresa editoriale che impedirà alla memoria di Gian Franco Venè - il redattore di Panorama che è morto ieri a Milano - di dileguarsi in fretta come capita, tranne casi rari e illustri, a chi lavora nei giornali. Nato a Monfalcone nel 1935, ma ligure di origine, Venè aveva percorso una carriera tutt' altro che oscura, prestando la sua opera in varie testate, dal settimanale A B C, diretto nei primi anni Sessanta da Gaetano Baldacci, ai quotidiani Il Giorno e Il Resto del Carlino. Era stato poi inviato speciale dell' Europeo. La sua destinazione finale, Panorama, era, in fondo, quella che gli somigliava di più: vi ha lavorato infatti - prima inquadrato nello staff redazionale, poi come collaboratore - finché glielo ha consentito la malattia che ne ha segnato la fine. Pur dotato di interessi politici, infatti, Venè era soprattutto un giornalista di costume, un osservatore, un rievocatore attento e delicato di atmosfere. Un quarto di secolo fa - quando i quotidiani non avevano ancora fatta propria la lezione dei rotocalchi, assorbendone lo stile colloquiale, divulgativo e privo di gerghi da "sala stampa" - lo si sarebbe definito un tipico "settimanalista". Ed è questo il bagaglio tecnico che negli ultimi anni lo ha aiutato a figurare spesso in cima alle graduatorie di vendita per la sezione "saggi". Il filone nel quale veniva a inserirsi il Venè scrittore di successo aveva cominciato a svilupparsi in Italia da una quindicina di anni, colmando una vera lacuna editoriale. In Italia non erano frequenti i libri di storia, soprattutto di storia recente, che fossero insieme leggibili e rigorosi, attendibili fino al dettaglio ma non accademici. A differenza che in Francia, e soprattutto in Inghilterra, da noi gli storici difficilmente si piegavano a un tipo di scrittura adatto a divulgarne le opere al di fuori di una cerchia ristretta e censita di esperti, rendendole adatte al "grande pubblico". Questa casella rimasta a lungo sguarnita nel mercato editoriale, oggi è anch' essa affollata (trionfano soprattutto le biografie) e non sempre con prodotti del livello di quelli cui lavorava Venè. Di questa varietà editoriale possiamo infatti considerarlo un autentico "specialista". L' Italia vista nella vita quotidiana delle famiglie, sia in relazione al fascismo che ai decenni successivi: ecco il fondale sul quale si muove la trilogia di cui parlavamo all' inizio. In quest' arco storico, Venè si è mosso con perizia e con gusto, senza perdere nessun appuntamento importante. Nelle sue pagine si muovono i piccoli borghesi dell' Italia imperiale cui il fascismo tentava invano di inculcare un' etica militarista, gli italiani sorpresi dalla disfatta e piombati negli orrori di una guerra civile, i protagonisti inconsci o compiaciuti del "miracolo economico", gli estatici ascoltatori del festival di Sanremo e i fans di Lascia o raddoppia?. Dallo scadere degli anni Venti alla fine dei Cinquanta, insomma, attraversando una guerra e un dopoguerra assai impegnativi, Venè ha indagato il costume del nostro paese tenendo sempre d' occhio la borghesia, e di preferenza quella piccola: umori, sogni, ansie, velleità, contraddizioni e soprattutto fughe - come diceva Longanesi - "in soccorso del vincitore". Abbigliamenti, arredamenti, dettami di galateo, norme di condotta politica: trovarobe attentissimo, Venè si è abbandonato in quella trilogia a un intenso collezionismo della memoria. Non è veramente un caso che, dei tre libri, due - Mille lire al mese e Vola colomba - abbiano rubato il titolo a una canzone. Anche se ciò che scriveva trovava un buon ascolto in qualsiasi fascia d' età, si aveva l' impressione che Venè volesse confidare la sua nostalgia, la sua partecipazione e il suo ironico struggimento ai propri coetanei. Un altro testimone così modesto e appassionato - lo dico pensando alla generazione cui appartengo - non sarà facile trovarlo. Alto, capelli neri lisci, barba brizzolata, anche fisicamente Venè era rimasto un cronista all' antica, incapace di sussiego intellettuale. Gli si era sviluppata, da qualche tempo, una passione per la provincia italiana. Si tratteneva in città il tempo richiesto dalle incombenze di lavoro. Ma il posto "suo" era Anghiari, l' incantevole cittadina toscana gremita di storia dove aveva casa. A me è capitato di andare a visitarlo lì, nei primi anni Ottanta. Lo trovavo immerso nella lettura dei testi che concorrevano a un premio (il meno ufficiale e pomposo dei premi) che egli aveva fondato, riservandolo - se il ricordo non m' inganna - ai libri pubblicati dai giornalisti. L' opera cui Gian Franco Venè lavorava negli ultimi mesi poteva apparire troppo ambiziosa o sconfinare nell' utopia storiografica. Era dedicata a duemila anni di vita degli italiani: una sorta di mosaico storico. Ma ecco che, a calmierare l' ambizione del disegno, spunta la piccola patria di Anghiari: qui l' autore intendeva collocare l' epicentro del suo racconto. A proposito del quale, non so a quale punto di elaborazione l' autore l' abbia lasciato. Sono però sicuro che, in un momento avventuroso come questo, esso avrebbe contenuto il sommesso messaggio "unitario" di un nostro connazionale incapace di retorica.

 

 

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