|
|
Giallo & Nero |
|
Giorgio Bert - L'affaire Montbazon |
|
|
|
|
|
|
|
Hobby & Work |
1998 |
|
|
Come quel lettore di libri gialli che si aggira nell'indescrivibile confusione di Helzapoppin senza mai sollevare il naso dalle pagine della sua lettura preferita, gli appassionati del poliziesco sono spesso catturati, quasi ipnotizzati, dal loro oggetto d'amore. Non c'è da pensare però che per questo siano necessariamente ottusi, distratti o insensibili alla qualità di quel che passa loro il convento dell'industria editoriale. Lo dimostra il successo crescente della collana "Giallo & nero", nella quale compare questo secondo romanzo di Giorgio Bert; una collana che i conoscitori sanno di dover braccare con tenacia in un numero ristretto di edicole benemerite e di librerie privilegiate, certi però che la loro fatica sarà premiata da testi di ottimo livello e spesso di taglio inconsueto. L'affaire Montbazon è un giallo atipico, che la costruzione temporale sofisticata e i molteplici riferimenti colti apparentano al filone postmoderno del Nome della rosa. Lo caratterizzano però un'asciuttezza, una concisione, una sobrietà ellittica che nel postmoderno non stanno, in genere, di casa, e che gli conferiscono una fisionomia stilistica inconfondibile. Chi è al corrente delle predilezioni letterarie di Bert sa che quell'asciuttezza nasce da un'inedita ibridazione: dall'incontro, cioè, tra la laconicità dei giallisti della hard boiled school e la folgorante sinteticità con cui il classicismo francese secentesco è capace di racchiudere in un verso o in una massima riflessioni psicologiche di vasta portata. Ma la rapidità della scrittura efficace, l'incisività delle notazioni psicologiche e di costume saranno apprezzate anche da chi non abbia avuto modo di ricostruirne, per così dire, la genealogia. Benché destinato a intrecciarsi con drammatiche vicende di un passato affascinante, lugubre e fastoso - quello della Francia dell'età della fronda e poi di Luigi XIV - il racconto dell'Affaire Montbazon prende inizio nel luogo più impoetico che si possa immaginare: l'ambulatorio di un accidioso e frustrato medico della mutua di provincia, Gian Giacomo Rosso, i cui nervi sono messi a dura prova dal caldo estivo, dall'imperversare di petulanti piazzisti di prodotti farmaceutici e dalle lamentele prolisse e monotone dei malati più o meno immaginari che si avvicendano sul suo lettino. È tra questi malati, però, che fa a un certo punto la sua comparsa il personaggio destinato a rivoluzionare la tranquilla esistenza del dottor Rosso: un'eccentrica vecchietta che affida al medico, prima di venire assassinata nel cimitero ebraico di Chieri, una busta contenente una strana lista di appunti cifrati. Da questa lista scaturirà - come dai crittogrammi che aprono alcuni dei migliori romanzi di Jules Verne, come Viaggio al centro della terra e I figli del Capitano Grant - tutto il resto della vicenda romanzesca, i cui tasselli, dapprima indecifrabili, comporranno alla fine una sequenza logica e ordinata: vi si intrecceranno un intrigo secentesco e un delitto avvenuto nell'Ottocento, diamanti e documenti segreti, goffisicari e splendide gentildonne. Al centro della storia, godibilissimo, l'accidentato viaggio del dottor Rosso sulle tracce del mistero adombrato negli appunti della vecchietta defunta. Attraverso gli incanti poco noti della Touraine e della Sologne, tra turisti sudaticci in bermuda e delizie gastronomiche senza pari, l'improvvisato detective farà incontri decisivi: quello, ad esempio, con la celebre tarte Tatin, di cui una pagina memorabile rievoca l'invenzione con accenti commossi |
|
|
Nessun commento:
Posta un commento