Maria Luisa Spaziani - Geometria del disordine


Maria Luisa Spaziani

Geometria del disordine

Vincitore poesia 1981

Mondadori, 1981

 

La visione poetica di Maria Luisa Spaziarli è tanto limpidamente definita, i suoi mezzi linguistici, metrici e retorici così collaudati e perentori da far escludere che ci si possa attendere, da un suo nuovo libro, clamorosi mutamenti in superficie. Anche in Geometria del disordine, il lettore ha innanzitutto l'impressione di muoversi con perfetto e proficuo agio in un quadro impeccabilmente istituito, all'interno di quell'intenzionalità neo-romantica e di quella lucida fede nella transitività del discorso poetico, senza le quali la stessa fisionomia (stilistica ed etica) dell'autrice risulterebbe indecifrabile. Ciò non toglie che - guardando un po' più all'interno, un po' più in profondità — questa nuova raccolta, oltre a porsi tra i risultati espressivi più compatti e luminosi della Spaziani, presenti non poche (e non trascurabili) sorprese e acquisizioni. Per valersi di una sola immagine, si potrebbe dire che in Geometria del disordine la Spaziani non resiste più, come in passato, al caos e all'alienazione di un mondo orribilmente violento e straniato, ma, al contrario, vi si tuffa con abbandono e quasi con felicità, seguendone anche fisicamente il moto contraddittorio e vorticoso, disegnandone dal di dentro (con l'aiuto, fra l'altro, di una bussola particolarmente efficace come la confidenza, il rispecchiamento in una vita giovane e amata) una mappa ipotetica ma a suo modo razionale e, appunto, «geometrica». Se la radice di fondo è pur sempre quella originaria di una contemplazione distolta da un lontano dio divorante, l'attività sensoria e quasi allucinatoria che oggi, almeno a tratti, prevale è mossa da nuove trasparenze e ricchezze, da un fuoco di slanci e rimandi fra creatività del presente e utilità della memoria. Ne nasce una poesia di lontananze fervide e ambigue, di una distanza che è anche ritorno alle radici archetipiche, alla pietra filosofale di ogni naturale o umana trasformazione. Una poesia, insomma, saldamente attaccata, da un lato, alla propria lucente, araldica immobilità e permanenza, ma capace, dall'altro, di immergersi e lasciarsi trascinare dalla corrente e dai gorghi di una feconda instabilità vitale.

 


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