Margaret Mead - L'inverno delle more: la parabola della mia vita


Finalista Biografia

1973

Margaret Mead

L'inverno delle more: la parabola della mia vita

Blackberry Winter: My Earlier Years

 

Mondadori, 1977

 

Oltre che una grande antropologa, Margaret Mead è anche uno straordinario personaggio pubblico che ha vissuto una vita tra le più intense: si è sposata tre volte e tre volte ha divorziato, ha scritto ventidue libri, ha girato dieci film, ha corso rischi innumerevoli presso tribù fra le più primitive della terra. Il suo attivismo, la sua onnipresenza rasentano l'incredibile, specie negli Stati Uniti, dove non c'è riunione, congresso, dibattito, simpsosio - sulla pediatria o sul femminismo, sull'alcolismo o sulla droga, sulla pace o sul futuro dell'umanità - in cui la Mead non intervenga o discuta. Nel 1975, per celebrare l'anno internazionale della donna, la FAO ha coniato una medaglia che porta la sua effige. Che l'autobiografia di un simile personaggio risulti di avvincente lettura non è poi molto strano. Ma L'inverno delle More offre qualcosa di più che un'autobiografia riuscita, offre anche una «parabola» per molti aspetti esemplare: la parabola di una donna americana che ha assistito allo sfaldarsi della grande famiglia patriarcale, con tutte le sue solide componenti di coesione; di una intellettuale che ha assunto un ruolo decisivo ed è vissuta a contatto con le grandi personalità contemporanee; e, infine, di un'antropologa che ha visitato il mondo e le popolazioni più diverse con un entusiastico impegno professionale, ma senza mai dimenticare tutte le domande che una donna oggi deve rivolgere a se stessa per capire che cosa sia in sostanza un «ruolo femminile». Così, tra Samoani e Arapesh, Ciambuli e Balinesi, Margaret Mead non si è limitata ad ascoltare, come altri prima di lei, il racconto di antiche tradizioni, ma ha saputo osservare, con intelligenza e freschezza nuove, lo spettacolo dei loro rapporti sociali. Ciò le ha consentito, fra l'altro, di rendersi conto come le differenze di temperamento fra maschi e femmine non siano biologiche ma culturali (vale a dire: variabili da società a società), e di demolire, in tal modo, uno dei più tenaci pregiudizi antifemministi. Ma se altre donne in prima linea hanno indagato sulle proprie lacerazioni e le hanno espresse con dolore, amarezza, sdegno, la Mead ha il merito di descriverle pacatamente, spesso come «incidenti» di viaggio o di lavoro nel contesto di una vita spesa a superare coraggiosamente - e senza autocommiserazione alcuna - innumerevoli difficoltà. Perciò il suo racconto, oltre che trascinare emotivamente chi legge, stimola pian piano un interesse profondo e duraturo. 

 

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