Balthazar costituisce, dopo Justine, il secondo pannello del polittico alessandrino dedicato da Lawrence Durrell alla sua «indagine sull’amore moderno». Anche di questo romanzo Alessandria d’Egitto - febbricitante sentina di vizi, grande medusa - è l’autentico protagonista, l’asse attorno a cui ruota un universo poliforme fatto di esseri spinti da «desideri che nascono nella foresta della mente», pederasti e travestiti, raffinata gente di mondo e cultori delle lettere, mistici visionari, prostitute d’ogni razza e giovinetti dalle labbra e dagli occhi pesantemente truccati. Durrell, sensorialmente, ricrea la città e ce la mostra stagliarsi contro i tumuli di arenaria che delimitano il bordo del deserto, facendo riecheggiare la musica arcana dei tamburi marocchini e caucasici che ritmano il calare della notte, lasciando traspirare l’effluvio di cibi aromatici, gelsomini, acqua di mare e polvere che da Alessandria promana, sbalzando un palpitante bassorilievo di corpi inquieti. T. S. Eliot e Henry Miller salutarono con ammirazione l’opera dello scrittore e poeta inglese, e Montale stesso così scrisse di lui: «La morbosa, decadente sensibilità che impronta ogni pagina non è tale da impedire al Durrell una serie di folgoranti definizioni, che rivelano in lui un vero fondamento classico». |
Nessun commento:
Posta un commento