«“Ma perché racconto queste cose a una perfetta estranea?”. “Ma perché sono una perfetta estranea!”». Un concessionario di macchine di lusso freddato nel suo salone. Una escort «morta male», torturata fino alla fine, nel suo studio del centro cittadino più opulento. Un «morto» che viene a riprendersi un tesoro. Una donna che sembra vissuta più volte. Un passato cattivo che ritorna e lascia misteriosi indizi sulla pista. E in esso la polizia cerca risposte a domande che appaiono impossibili. Mentre un vento insopportabile stranamente inquieta l’inverno delle strade. Stavolta Carlo Monterossi, il detective per caso della nuova Milano nera vividamente dipinta da Alessandro Robecchi, è un detective per rabbia. Lo tormenta un senso di responsabilità, benché involontaria, nel delitto; ma soprattutto, con Anna – così si chiamava la bella di via Borgonuovo – aveva vissuto un momento di sincerità totale, di quelli che chiariscono l’anima al pari di un’amicizia duratura. Il suo debito di verità e giustizia, per una volta, si incontra con un paio di poliziotti che condividono la stessa tenerezza verso una vittima che sporge sulla coscienza come fantasma gentile: «Se troviamo chi ti ha fatto male te ne vai, vero, signorina?». E verrà alla luce qualcosa che stride brutalmente con la vita da autore di reality televisivi che dà a Carlo fama e soldi. Alessandro Robecchi non fa uso di descrizioni, di enumerazioni di luoghi e oggetti per fotografare gli ambienti dei suoi personaggi; racconta con le loro parole, svariando tra diversi registri linguistici, e il lettore si ritrova sul pianerottolo della palazzina vecchiotta e lussuosa, tra il generale in pensione e la vedova del dirigente Pirelli, nell’androne del commissariato, al bancone del bar della periferia malfamata. E l’instancabile satira, l’umorismo velenoso, che attraversa tutto, bastano a capire da che parte sta il suo eroe. Per lui, la semplicità della moglie del poliziotto, la dignità di una prostituta, la serietà di un immigrato sanno di vita autentica assai più della fretta indaffarata del manager rampante e dell’euforia della telediva che spaccia sentimenti. Per la capacità di far vedere e sentire soltanto narrando, la Milano di Robecchi si avvicina moltissimo alla Torino di Fruttero e Lucentini. |
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