Carlo Sgorlon - L'armata dei fiumi perduti




Carlo Sgorlon

L'armata dei fiumi perduti

Vincitore 1985

(Edizione Mondadori, 1985)

 

La casualità della storia o il misterioso progetto che lo governa fecero affluire in Friuli, nell’estate del 1944, un’armata di cosacchi. A questo pittoresco esercito di uomini, donne, bambini, cammelli, cavalli, scimitarre, tende e icone, a questa fiera e primitiva popolazione di antistalinisti, raccolta nella Bielorussia, i tedeschi avevano promesso una patria provvisoria nella Kosakenland friulana. L’incredibile odissea cosacca sostò per circa un anno in quelle aspre valli guerreggiate da impazienti partigiani e insanguinate dalla tracotanza dei tedeschi ormai prossimi alla resa. L’illusione della patria ritrovata finì tragicamente: gli alleati, impegnati a restituire ai russi il popolo disertore, lo avviarono verso i campi di prigionia austriaci; ma gli orgogliosi cosacchi preferirono in gran parte il suicidio, gettandosi col le loro donne e i figli nelle acque della Drava. Sgorlon ha trasfigurato quell’ennesima invasione del suo Friuli in una “epopea delle vittime”, ricomponendola in un vasto arazzo gremito di figure che, su un fondale di disperazione, recitano un’eroica favola di amore e di morte. La pietas e la commozione fantastica con cui il narratore riascolta le cronache della sua terra, sollevando le pagine a una fervida meditazione sulla sorda precarietà del destino singolo e collettivo. La coralità delle voci epicamente coniugate a un contrappunto di soprusi, di tenerezze, di viltà, di eroismi, e all’alterno impassibile sguardo delle stagioni, interroga il duplice mistero del dolore che accompagna ogni umana vicenda e dell’amore che germoglia da ogni strazio. L’officiante, lo specchio dell’incalzante rapsodia, è Marta con la quale Sgorlon consegna alla nostra narrativa un eloquente e memorabile figura femminile. Marta che non riesce a vedere nemici da nessuna parte, pronta a donare affetto e pietà ai più maltrattati dalla sorte; Marta che, come la natura, ha in sé “un nucleo intatto e fresco che la guerra non può scalfire”; Marta che sa “tener duro” perché intuisce che “nel mondo c’è un’armonia segreta per cui la vita è eterna”; questa donna dalla bellezza quieta e dal corpo attraente, compie con la sua sacrale e indomita femminilità, il miracolo di trasferire fuori dal tempo e da una limitata geografia la tragica odissea cosacca e il martirio dei friulani.

 

 



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