I quaderni di don Rigoberto - Mario Vargas Llosa


 

Mario Vargas Llosa

I quaderni di don Rigoberto



Einaudi, 1997 (Prima pubblicazione: 1997)

 
 
Rigoberto è il direttore di una compagnia di assicurazioni, appassionato di arte e di letteratura, uomo di successo, intelligente e benestante. Eppure qualcosa lo tormenta, qualcosa lo spinge, nelle notti insonni, a frugare tra i numerosi quaderni dove per anni ha annotato emozioni, sentimenti, riflessioni. E la nostalgia per la bella e sensuale Lucrecia, la seconda moglie che ha condiviso con lui dieci anni di notti appassionate e inventive. E mentre don Rigoberto soffre da solo nella sua casa di Barranco, dona Lucrecia se ne sta relegata in un appartamentino all’Oliveto di San Isidro, vittima di un simmetrico rimpianto per l’ex marito. Che cosa ha potuto separare due persone che si amavano – si amano – tanto? Un pomeriggio qualcuno bussa alla porta di dona Lucrecia. E il piccolo Fonchito, il figlio non ancora adolescente di Rigoberto. Ha la fissazione della pittura e una passione: Egon Schiele, di cui crede quasi di essere una reincarnazione. La sua mania è travolgente: riesce a convincere Lucrecia, e la fascinosa cameriera Justiniana, a mimare per lui le scene che il pittore viennese fermava sulla carta (quelle più ambigue e un po’ scabrose…) E Fonchito la causa della separazione fra Rigoberto e Lucrecia, è lui che ha provocato un teatrale, inevitabile allontanamento tra il padre e la matrigna. Ma sarà anche la sua innocenza disarmante, saranno il suo magnetismo erotico e la sua equivoca bellezza di ragazzino esperto in perversioni a mettere in moto un meccanismo di sfrenate immaginazioni, di intemperanze sessuali e di equivoci e inganni che conducono a un lieto fine imprevisto. Quest’ultimo romanzo di Vargas Llosa alterna parti narrative a fantasiose – e misteriose – lettere anonime, che sono il nucleo visionario del libro. L’incastro è sapientissimo e fornisce continue sorprese al lettore, fino all’epilogo, che è anch’esso una sorpresa. Incrociando l’erotismo di L’elogio della matrigna e la leggerezza ironica di La zia Julia e lo scribacchino, il grande scrittore peruviano intesse un nuovo omaggio all’arte del romanzo, un omaggio sapientissimo ma anche ironico, come la domanda che a libro finito possiamo immaginare sulle labbra dell’autore: quel lieto fine è davvero lieto, o è un frutto avvelenato?


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