Cesarina Vighy - L'ultima estate


Cesarina Vighy

L'ultima estate

Opera prima 2009

Fazi, 2010

 

«Dicono che si nasca incendiari e si muoia pompieri. A me è successo il contrario: brucerei tutto, adesso». Nel 2009, all’età di 72 anni e già malatissima, Cesarina Vighy esordì con L’ultima estate, un romanzo dai forti spunti autobiografici che divenne presto un vero caso letterario vincendo il Premio Campiello Opera Prima e qualificandosi nella cinquina del Premio Strega. Tradotto all’estero e sorretto da un grande successo di pubblico, è diventato nel tempo un modello di resistenza al dolore per il suo strenuo stoicismo e la sua affilata ironia. «Camminare eretti e parlare, due facoltà che hanno fatto della scimmia un uomo: io le sto perdendo entrambe. Restano l’inutile pollice sovrapponibile e l’insopportabile coscienza di me». Z. è malata. Gravemente. Dallo spazio ristretto da cui guarda il mondo, osserva il tenace manifestarsi della vita: l’andirivieni dei vicini, un merlo che fa il nido, i piccioni in cerca di cibo. Per lei, ogni gesto è enorme, difficilissima la quotidianità, in equilibrio sui nervi e sugli orari delle medicine. La notte però, con la gatta a farle compagnia, i sogni intervengono ad alleviare il fastidio di resistere a se stessi e sulla pagina, così, il resoconto di un’esistenza vicina alla fine diventa il ricordo di una vita che finalmente appare bella. «Eccoci qua dopo anni di quiete che si potrebbero chiamare anni felici se solo sapessimo, mentre la si vive, che quella è la felicità». Con una lingua nitida, a tratti feroce, mai retorica, Cesarina Vighy ha affrontato il più evitato degli argomenti: la sofferenza. Definito «un De Senectute intriso di dolorosa saggezza», L’ultima estate ha messo al centro una donna giunta alla fine del suo ciclo vitale ma non per questo priva di un’arma potentissima, specie se innata: lo spirito dell’umorismo. «Fatevi venire o, se lo avete già, coltivate il senso dell’umorismo. C’è tanto da ridere al mondo: degli altri, di voi stessi, delle cose che vi parevano così importanti e invece erano così stupide». L’umorismo, non a caso, è il fil rouge di un libro particolarissimo composto di sole mail, Scendo. Buon proseguimento, con cui l’autrice, pochi giorni prima di morire, si congedò dal mondo. Un testamento spirituale, con testi realmente spediti a familiari e amici, che ripercorre gli ultimi tre anni della vita di Cesarina, detta Titti, e le vicende del suo sorprendente, insolito esordio. «Ho fatto il mio nido tra i libri, gli unici che mi capissero e che capissi». In questo volume, oltre a una scelta di brani tratti da Scendo. Buon proseguimento, sta un’importante sezione di inediti: le poesie, di cui l’autrice era fierissima, tanto da essersi definita più volte «un dickinsoniano poeta postumo», e due capitoli di un romanzo incompiuto che Cesarina stava scrivendo in punto di morte, in sfida all’“Opera Seconda”, a riprova che il decalogo inserito nell’Ultima estate era molto più di un semplice elenco di consigli.

 

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