Dante Troisi - Diario di un giudice





Dante Troisi

Diario di un giudice

Candidato 1956

(Edizione Sellerio, 2012)

 

Diario di un giudice uscì nel 1955 nei «Gettoni», celebre collana diretta da Elio Vittorini per Einaudi e, come sovente succedeva con le opere di denuncia nel nostro paese, l’autore finì nei guai. Per averlo scritto, «diffamando la magistratura», il giudice Dante Troisi fu sottoposto a provvedimento disciplinare e sanzionato con una «censura». Elio Vittorini interpretò il testo sottolineando il suo essere specchio di una «società primitiva, impetuosa e insieme come stupefatta di non riuscire ad avere altro di civile che avvocati e giudici». Tra testimonianza e finzione, il libro si presenta al lettore come un diario nel vero senso della parola, in cui un uomo che di mestiere giudica gli altri, destinato per ufficio a una cittadina meridionale, riversa giorno per giorno, a ciglio asciutto, dal lunedì alla domenica, tutto ciò che gli capita, nel lavoro, in famiglia, tra colleghi, in città. E ciò che succede nella sua coscienza. Così, accanto alla rappresentazione di una società inesorabilmente arretrata e di magistrati che si sentono non uomini di giustizia ma d’ordine quasi fossero l’occhio vigilante di una gerarchia il cui corpo morale è costituito dal prete, dal medico, dal militare, dal signore, la lettura fa oggi l’effetto di una riflessione, dolente, impietosa, sul fare giustizia. Una riflessione resistente al tempo. Mentre scava nella coscienza dell’imputato, il giudice lacera la sua. Registra, con uno stupore non logorato dalla routine, il consegnarsi del dolore del vivere, che si libera senza ritegno e senza mediazioni nella camera rituale. Scruta facce e storie misteriosamente predestinate alla colpa, che non hanno dalla loro nemmeno la fortuna di suscitare pietà. S’interroga su come l’arbitrio sugli esseri umani possa diventare un campo di interessi e di favori. Riconosce quell’aria conventuale, quel tanfo di sagrestia che terribilmente sembra separare i magistrati dalla vita. Infine, confessa come un segreto di cui è urgente liberarsi, l’attrazione angosciosa che esercita il potere di giudicare. «Ho la vocazione a fare il giudice. Mi sono agitato per negarlo, ma in questa professione ho il migliore rifugio, la difesa più sicura». Diario di un giudice è un racconto di concreta verità e insieme una meditazione di grande fervore esistenziale. Questo mescolarsi di cronaca sociale e confessione ne fa un classico: forse il più importante romanzo su un giudice mai pubblicato in Italia.

 

 



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