Enzo Bettiza - Esilio


Enzo Bettiza

Esilio

Vincitore 1996

Mondadori, 2017

 

L’esodo degli italiani dalle terre dell’Adriatico orientale finite alla Jugoslavia è una tematica fortemente articolata al suo interno. Infatti alcune realtà, come la Dalmazia, anche per circostanze intrinseche (basti ricordare la “nazione” slavo-italiana invocata da Tommaseo) hanno finito per arrivare al trauma del distacco della componente italiana e risentirvi in un modo del tutto particolare e, diremo, singolare rispetto ad altre. Questo capolavoro di Enzo Bettiza si riferisce oltretutto ad uno spaccato ancora più particolare, che è quello della realtà spalatina, diversa non solo dall’Istria e dal Quarnaro ma anche dalla stessa Zara. Come riesce bene a descrivere l’autore infatti, la Spalato dopo la Grande Guerra (nella quale nacque il giovane Enzo nel 1927), era ormai una città sempre più diversa da quella di pochi decenni prima. La residua comunità italiana, sempre più ghettizzata al suo interno e stravolta dagli eventi recenti (come la nuova sistemazione adriatica dopo la caduta dell’Impero austro-ungarico con il Trattato di Rapallo, e quindi l’incorporamento nel Regno dei serbi, croati e sloveni), pareva avviarsi verso un sempre più marcato decadimento e assorbimento nella ormai schiacciante maggioranza croata. Questa situazione generale si ritrovava nelle condizioni “domestiche” dell’autore, la cui famiglia per quanto agiata e “storica” della città (accattivanti sono i ricordi degli intrecci familiari con la storia di allora, come i rapporti della famiglia paterna con gli autonomisti di Bajamonti e in particolare del nonno paterno col borgomastro di Vienna Karl Lueger) rifletteva bene quella spalatina media “mista”: a petto del ramo paterno che incarnava bene il medio spalatino di nazionalità e cultura italiana, v’era quello materno di origine balcanica della madre, con la predominanza del serbo-croato, non solo nell’uso linguistico ma anche nelle espressioni culturali e patriottiche (Bettiza ad esempio racconta cosa accadde in famiglia quando morì l Re Alessandro I Karadjordjevic). E’ quindi un mondo intricato, intrecciato tra una realtà culturale (e qualcuno dice elitaria) – quella italiana – e una più prorompente e di massa – la croata, o meglio serbo-croata – quello in cui cresce il giovane Bettiza. E che, nel suo sviluppo temporale e fattuale, lo spinge a descriverlo minuziosamente e con un’arte del racconto che gli viene anche spontaneamente in relazione a quanto accade nel presente. Sì, perché le guerre che scoppiano tra i popoli jugoslavi agli inizi degli anni Novanta (mentre il libro viene compilato), lo riproiettano forzatamente nel suo bagaglio di ricordi che il tempo, man mano, aveva contribuito ad affievolire, ingiallire fino quasi a cancellare. Prima che tali ricordi spariscano, in un momento in cui in Italia si inizia a riparlare anche del dramma degli italiani esuli dall’altra sponda adriatica alla fine del secondo conflitto mondiale, Bettiza decide di mettervi mano e di ripercorrere le varie tappe della sua formazione in relazione al contesto vario (e specie dalmata) che fa da sfondo: gli studi giovanili a Zara, dove racconta e spiega le difficoltà di inserimento nell’unica realtà italiana compatta della Dalmazia (e negli anni del fascismo), contrapposta a quella “dispersa” e quasi morente di Spalato dove è cresciuto lui; la guerra e il suo impatto, con l’occupazione italiana e la lotta di liberazione jugoslava egemonizzata dai comunisti di Tito, che proiettano al massimo la spaccatura e i drammi nella ancora multiforme e mutevole società spalatina (esempi sono il sempre “mite” fratello ad esempio che vuole esporre il tricolore nel 1941, il cugino che getta le bombe sul corteo delle truppe italiane o l’amico che, entrato nell’esercito popolare di liberazione jugoslavo, attenta al federale fascista Savo); in conclusione l’epilogo del distacco e il difficile inserimento in Italia, ancor più duro per lui che, rispetto agli esuli istriani, è cresciuto culturalmente e anche mentalmente in bilico tra due mondi e i rispettivi nazionalismi. Non mancano infine, come contorno ad un romanzo eccellente che si rispetti, anche le pagine descrittive e, soprattutto, quelle sentimentali, di carattere amoroso (la bella insegnante Consuelo) e di stampo umano. Per concludere, quella che in generale Bettiza consegna ai lettori italiani è perciò una vicenda ricchissima di storia, dove la tragedia individuale e collettiva prende man mano il posto di una precedente consuetudine che può apparire quasi statica. In particolare poi, un libro che ben aiuta a comprendere le tantissime sfaccettature di quello che ben possiamo definire il “mosaico dalmata”.

 

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