Gian Antonio Cibotto - La vaca mora





Gian Antonio Cibotto

La vaca mora

Candidato 1965

(Edizione Marsilio, 1986)

 

«Il libro è  per me  la  trascrizione  fedele  della  vita con i suoi  slanci e i suoi bruschi arresti»,  scrisse  una  volta  Cibotto  un  una pagina autobiografica confessando,  per   aggiunta, il  piacere («il godimento quasi fisico») che provava nello scrivere. E Carlo Bo, qualche anno fa, quasi a conferma, annotava: «Chi lo incontri per la prima volta non può fare a meno di restare colpito dal suo accento sincero, dal suo gusto naturale della vita e dal suo bisogno di stare ben saldo sulla realtà» Sono queste, in effetti, le «costanti» dello scrittore, oramai giunte ad un così completo stato di maturità espressiva da costituire i fondamenti  di una sicura e singolare vocazione narrativa. In più, nel Cibotto si può rilevare questa felice coincidenza: che la natura del temperamento, diretto e sanguigno, si è rinsaldata e arricchita nell'incontro con una tradizione letteraria, quella dell'area linguistica popolare del Veneto, perfettamente congeniale, caratterizzata com'è dalla forza popolaresca, dalla ricchezza di umori realistici e terragni. La vaca morta ci riporta al tempo di macerie e di disordine del l'Italia 1945 non per darci, se non indirettamente, un quadro di costume; ma per farci riassaporare in tutta la sua fatua e fatale crudeltà il gusto dell'avventura. «Vaca mora», il contadino che va alla ricerca della sorella nel bailamme degli eserciti di occupazione (e che viene chiamato così dal nome che gli alpini davano durante la Guerra alla loro tradotta) è un personaggio che sembra nato dale pagine del Ruzzante, furbesco e ottuso, patetico e violento, e costituisce il punto di riferimento, il timbro di fondo, dell'intera vicenda. Ma attorno a lui si sviluppa una macchina romanzesca di rara efficacia, notturna, allucinata, che l'autore ha saputo rendere nella sua turgida, clamorosa vitalità e poi immediatamente semplificare. Incontri, fughe, agnizioni improvvise, aperture sul mondo dell'ambiguità e della corruzione, la testarda tenacia dei sentimenti, il rombo ancora vicino della guerra: da questa materia complessa e convulsa (e così italiana) il Cibotto è riuscito a trarre un racconto mirabilmente unitario, carico di generosità umana e nitido di avventura.

 

 



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