Rosetta Loy - L'estate di Letuqué





Rosetta Loy

L'estate di Letuqué

Candidato 1982

(Edizione Rizzoli, 1989)

 

In questo romanzo mancano tre vecchie virtù, tre vecchie balie che siamo abituati a sentire ciabattare per casa o tra i libri. Mancano la fede, la speranza, la carità. Al posto di queste balie c'è il vuoto. Questo vuoto è una mancanza di provvidenza; essa non è programmata né ostentata né voluta; è un fatto, è cosi. Qualcosa è cambiato, in un tempo da identificare. una prospettiva si è sfasciata e il quadro lo si vede a pezzi. Il film dì cui siamo fatti srotola tante sequenze disappartenenti. L'estate di Letuqué è un romanzo generazionale, scritto da una persona che, negli anni Cinquanta, cominciava a vivere. I fatti che vi accadono si riferiscono a una storia abbastanza recente (dal dopo-Kennedy ai fatti di Praga); e rinviano a un vissuto lontano, a un passato anteriore alia guerra e alla Resistenza. Ma presente e passato sono entrambi due false pareti. Nessuno dei due tempi tiene l'altro, entrambi si sorreggono come due zoppi; e il tempo è concepito solo in forma di spazio, è la scacchiera dove ballano i pezzi. Nulla di ciò che ci viene raccontato appartiene al presente in cui il romanzo è scritto, perché il presente non ha durata, non ha spessore e sostanza, si sbriciola come i dolci alla crema o se ne va come la banana mangiata e assaporata lentamente. Il presente rinvia sempre al passato; ma a un passato che nutre di erbe velenose e non dà risposte, perché ciò che sappiamo del passato è solo l'inganno del presente, il dolore gonfio e ottuso dell'ematoma che si è formato dopo l'urto e il trauma. Per la prima volta, uno scrittore cerca d'indovinare, sotto il trucco di storie che si svolgono prima e dopo la faccia crudele e la smorfia di un tempo decisivo: gli anni Cinquanta. Naturalmente questo scrittore è una donna. Rosetta Loy è già conosciuta al pubblico per due romanzi brevi. La bicicletta e La porta dell'acqua, ma questo libro la ripresenta in termini diversi, con tutte le qualità in divenire che fanno presagire il formarsi (già imperioso) di un nuovo scrittore. Si tratta non di un terzo ma di un "primo" libro, scritto con una sapienza che è capace di non andare troppo per il sottile, buttato là coi gesti spavaldi della signora che, all'occorrenza, sa spicciare le faccende di casa meglio della serva. Si può leggerlo in vari modi. Si può partire dalla realtà raccontata a caldo, eccitata, ravvicinata, esaltata; o dai simboli che la intarsiano come la coda di certi draghi verdi dipinti sulle scatole dei giochi orientali che si giocavano tanti anni fa; i fatti corrono svelti, incalzanti, patetici, ma anche trattati con fermezza derisoria e "istoriati" come figure sopra il pannello o la stoffa preziosa, con un distacco da ricamo o da disegno colorato dentro i calmi contorni a inchiostro di china. Si può credere al romanzo all'antica, travestito da cosa moderna; il linguaggio di oggi maschera un sospiro romanzesco di ieri; e il fare britannico viene attraversato da certo cinema francese. Al centro, la storia di una giovane madre rimasta ragazza che cade, spiando l'occasione giusta per storcersi la caviglia. In un gruppo di amici che la accoglie, la vuole, la rigetta, la usa; il "gruppo" è una di quelle misteriose costellazioni in cui si raccoglie lo splendore e lo charme del vissuto; e in esso si riflette parecchia sinistra giovanile italiana abbagliata da se stessa, illusa dal proprio chimerico e immaginario protagonismo politico al di là di ogni pensabile snobismo. Se la storia raccontata nell'Estate di Letuquè si svolge "prima del terrorismo" (uno dei possibili titoli nascosti) è chiaro che il romanzo è stato scritto  "dopo".

 

 



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