Anita Desai - Chiara luce del giorno


Finalista

1980

Anita Desai

Chiara luce del giorno

Clear Light of Day

 

Einaudi, 1999

 

In una decrepita, grande casa della vecchia Delhi si ritrovano, a distanza di alcuni anni dal loro ultimo incontro, due sorelle non piu giovani, Bim e Tara. La prima, nubile, è rimasta a vivere nella casa di famiglia, sempre piu disordinata e cadente, e che tuttavia, nella sua polverosa quiete, mostra una segreta, bizzarra, vitalità. La seconda ha sposato un diplomatico, ha viaggiato molto e vive ormai da anni negli Stati Uniti. La casa e il giardino sono lo spazio concluso entro il quale si svolge tutta la vicenda. Nella veranda dove oggi conversano le protagoniste ormai adulte, in un fluire ininterrotto di ricordi, spesso tristi e dolorosi, si muovono e conversano gli altri membri della famiglia, coloro che, ora animandola, ora frustrandola, hanno segnato l’infanzia e la giovinezza delle due donne: gli amati fratelli Raja e Baba; i genitori, freddi e distaccati giocatori di bridge; zia Mira, che ha allevato tutti loro, e che è forse il personaggio piú tragico e simbolico di tutto il romanzo; infine i domestici, e i cani e i gatti. Sullo sfondo che permea tutta la storia famigliare, l’India subito dopo l’indipendenza (1947), il dramma della Partizione e dei profughi, gli assurdi massacri di musulmani e hindu al confine tra India e Pakistan, il giorno dell’assassinio di Gandhi… In una circolarità che è quella della storia e delle esistenze umane nella tradizione hindu, il racconto si conclude sulla stessa veranda in cui è incominciato, alludendo alla ricomposizione del legame tra passato e futuro, di cui il presente, e il racconto, sono soltanto un piccolo anello. «Da un pugno di ricordi, da un patchwork di sogni, giochi infantili e fiabe, Anita Desai ha ricreato l’intero quadro di una cultura e di una società. Il romanzo -come accade solo con i romanzi migliori -ci prende completamente. Ci trasporta cosí profondamente in un altro mondo che cominciamo a temere di non riuscire a uscirne» (Anne Tyler, autrice di Turista per caso).

 

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