Danilo Dolci - Inchiesta a Palermo


Danilo Dolci

Inchiesta a Palermo

Vincitore saggistica 1957

Einaudi, 1957

 

Un educatore civile, un uomo impegnato, un assistente sociale, un pacifista, un narratore, tutto questo è stato Danilo Dolci che non dimenticò mai la sua vocazione di sociologo. E della competenza e della forza dello studioso è frutto Inchiesta a Palermo, una indagine sugli «industriali» cioè coloro che «s’industriano», si arrangiano: i disoccupati, gli «spicciafaccende», i robivecchi, insomma tutta quella massa che a Palermo - siamo alla fine degli anni Cinquanta - viveva ai margini della società e in condizione di degrado. E sono storie di sconvolgente verità. Inchiesta a Palermo fu pubblicato nel 1956 da Einaudi. A tanta distanza, resta un testo così strabiliante e impressionante che si è portati a chiedersi che cosa emergerebbe della città attuale se esistesse, oggi, un Danilo Dolci. La sociologia del Gandhi italiano non è solo fatta di cifre e statistiche (che pure ci sono ma funzionanti come a supporto di vivide rappresentazioni sociali finalizzate a trasmettere una scossa etica attraverso la conoscenza oggettiva). È costruita mediante il parlare vivo dei diversi soggetti umani che raccontano con la voce autentica la loro condizione. E questa condizione non è descritta: è narrata. È una storia. Così questo libro è fatto di lancinanti storie dal limite. E questo limite separa dal «mondo normale» – quello fatto di due pasti, un tetto, un lavoro, una famiglia regolare, un tran tran prevedibile, eccetera – una quantità paurosamente elevata di persone (lo dicono le cifre). Strutturalmente il libro è diviso in due parti. Nella prima, i protagonisti rispondono a lungo a domande generali che indagano la loro concezione del mondo; nella seconda, altri protagonisti (della città o della provincia) raccontano le loro storie esemplari. A parte sono presentati i dati statistici. Lo scopo di Dolci non era soltanto quello del sociologo militante che intende divulgare una realtà terribile avviandone il cambiamento per mezzo della conoscenza. Voleva anche, da antropologo, preservare nel tempo una cultura popolare. E forse, non ultimo, da scrittore qual innegabilmente era il sociologo di strada, nutriva anche un fine estetico e letterario. Perché sicuramente alcune di queste storie hanno la forza drammatica del racconto veristico e tutte hanno lo struggimento umano della tranche de vie. 

 


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