Ferdinando Camon - Liberare l'animale


Ferdinando Camon

Liberare l'animale

Vincitore poesia 1973

Garzanti, 1973

 

Le poesie di Camon nascono dallo stesso impulso e dalla stessa intenzione ideologica che sottendono i suoi romanzi: la ricognizione della povertà contadina vista e sofferta come scandalo esemplare, come scacco interno di un'intera realtà sociale. Alla comparsa dei primi versi di Camon vi fu chi, non a torto, fece il nome di Frantz Fanon, avvicinando implicitamente ai "dannati della terra" i "sotto-uomini" di cui il giovane poeta si faceva «storico» e cantore. In un caso come nell'altro, il punto cruciale della testimonianza era (è tuttora) il recupero della civiltà degli «ultimi» e, come osservò allora Pratolini, il suo confronto con la presenza egemone della tecnica e della dissipazione. Continuando su questa strada (che è d'altronde per lui, con ogni evidenza, una strada eticamente obbligata) e precisando via via in modo più violento e funzionale i suoi mezzi espressivi, Camon ha messo insieme, ora, un libro che per tensione, compattezza e verità morale non ha davvero molti riscontri nel panorama della nuova poesia europea. Alla rivolta dell'intelligenza e del cuore, alla straziata indignazione di testimone insieme volontario e coatto che si pongono, puntualmente, all'origine di ogni sua poesia, Camon risponde (corrisponde) con la scelta di una scrittura sempre più semplificata e scarnificata, e al tempo stesso avvolta in una sorta di naturale, biblica gravità, di cui Pasolini ha colto con esattezza lo specifico non soltanto stilistico parlando, in una recente presentazione, di estro «povero», di "spiritual" e di "vecchia pietà creaturale". L'indagine - patita fino al malessere, alla disperazione, all'invocazione di colpa - sulle strutture della penuria e dell'ingiustizia non è insomma, per Camon, un pretesto per fare o negare, da letterato, la poesia: ma è essa stessa, direttamente e dolorosamente, poesia e no, sfigurazione del canto e sua implacabile, solenne sopravvivenza.

 


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