Gino Rocca - Gli ultimi furono i primi


Gino Rocca

Gli ultimi furono i primi

Vincitore 1930

Treves, 1930

 

La prima ispirazione a scrivere il romanzo Gli ultimi furono i primi (Premio Bagutta 1931) è probabile che allo scrittore e giornalista Gino Rocca fosse venuta da una riflessione comune: Venezia città fuori dal tempo. In effetti la letteratura narrativa e poetica su Venezia, dalla fine dell’Ottocento ai primi anni nel Novecento, ha avuto il marchio delle sontuose pagine barresiane della Mort de Venise, nonché di D’Annunzio e Ruskin, i quali hanno celebrato il morboso disincanto della città lagunare che a Barrès dava persino la febbre. Il romanzo di Gino Rocca invece è estraneo da tali fascini: l’autore infatti immagina che ad un certo momento dello spasmodico progredire del ventesimo secolo, la rottura tra la civiltà meccanica e Venezia si è fatta irrimediabile e la città è davvero apparsa fuori dal tempo, recisa del tutto dai nuovi ideali. Le sue bellezze più preziose sono andate ad arricchire i musei d’America e delle città nordiche d’Europa; ad un breve periodo di spoliazione, dovuto anch’esso ad una sopravvivenza nell’animo dei “nuovi ricchi” del mondo di vecchie idee archeologiche, è succeduto il periodo dell’indifferenza o della facile ironia verso chi coltiva ancora la religione di certi ricordi. Venezia non è che ormai più che un desolato ammasso di rovine, con qualche decrepito palazzo ancora in piedi, puntellato alla meglio mentre le notizie dal mondo si apprendono dagli altoparlanti e sono rari in Europa, innocui maniaci, quelli che si divertono ancora con i segni dell’alfabeto. Protagonista del romanzo Gli ultimi furono i primi, è Alberto, un abulico con improvvisi scatti d’energia, un uomo consumato, con un passato burrascoso: moglie scappata di casa e figlio già avverso, Ma Alberto è sensibile, appassionato, spiritualmente si sente diverso dagli altri, ma non sa di preciso cosa vuole, pur avendo in se l’istinto al bene. Inoltre è un uomo colto, sicché lo zio. Riconoscendogli con una mentalità meccanizzata up to date che “ha un ingegno formidabile stoltamente sciupato”, gli propone di mettere a frutto il suo talento andando a sostituire a Venezia il vecchio bibliotecario della Marciana, L’Intendente come viene chiamato che ha lasciato la sede. Alberto parte e giunge a Venezia alla vigilia di Natale. Il suo compito ufficiale è quello di scegliere tra i libri rimasti nella biblioteca qualcuno di interesse, di farli rilegare e spedirli. Ma Alberto non è un bibliofilo e di Venezia ama ben altro che la carta stampata raccolta in una sua biblioteca in rovina. Di Venezia egli sente soprattutto un’epoca, la più tipica, il Settecento, e difatti Rocca, supponendo nel lettore un graduale e facile ambientamento nella realtà di Venezia da lui immaginata, mette subito il protagonista in medias res, nel magico cerchio di una visione settecentesca: “Vedeva la spatola, vedeva la lucida maschera nera, il vestito di sette colori, il cappello bianco rialzato sulla fronte gonfia, calato sulla gobba aguzza…”. Proprio con queste parole inizia il romanzo di Gino Rocca. A Venezia Alberto si lascia affondare in un’inerzia morale e fisica, animata solo da un’immaginazione che gira a vuoto. Il male del protagonista è molto profondo. Non è possibile aspettarsi che solo al contatto della decadente città, lo possa investire un nuovo ed improvviso impeto di vita, tale da resuscitare in lui un fremito d’azione. Alberto quindi assiste sempre più nauseato alla vita che gli si svolge intorno: egli è nauseato da quelle forme di vita quali la baldoria dell’albergo di lusso, dalle donne disinibite, e dai loro gretti uomini che ne sono amanti. Ma, nonostante questo male di vivere, in Alberto pulsa ancora, seppur nascosto, un principio di vita che affiorerà gradualmente verso la fine del romanzo, dove il cuore dell’uomo può finalmente abbandonarsi al sentimento per una donna. Il lento risorgere morale di Albero va seguito con attenzione per cogliere pienamente l’unità del romanzo e la sua solidità interna. Per Rocca ci è voluto un ambiente come la Venezia immaginata dallo scrittore, ovvero un morbido pantano è una situazione psicologica vicina a quella fisica della città, perché la figura di Alberto potesse assumere pian piano un umano rilievo, passando da uno stato di crisi inattiva a una febbre d’azione. (https://www.librinews.it/rece/ultimi-furono-primi-gino-rocca-recensione/)

 

Nessun commento:

Posta un commento