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Primo Levi |
Lilìt e altri romanzi |
Finalista narrativa 1982 |
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Einaudi, 1981 |
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Lilít e altri racconti è una raccolta di racconti di Primo Levi edita nel 1981. La maggior parte dei racconti è stata in precedenza pubblicata su periodici. La raccolta è divisa in tre sezioni, rispettivamente di 12, 15 e 9 racconti. Passato prossimo Capaneo ("Il Ponte", novembre 1959; poi rivisto 28 maggio 1978) L'Autore e Valerio, pisano, detenuti ad Auschwitz durante la guerra, condividono col compagno di prigionia Leon Rappoport, polacco, laureato in medicina a Pisa, un improvvisato rifugio antiaereo, durante un bombardamento alleato. L'Autore ha poi rivisto una sola volta Rappoport, che ritiene non sia in seguito sopravvissuto all'evacuazione del lager, e ne ricorda il modo di pensare spavaldo e vitale. Il giocoliere ("La Stampa", 2 aprile 1978) Nel giugno 1944, l'Autore, racimolati "un foglio di carta e un mozzicone di matita"[1], aveva iniziato a scrivere una lettera per i famigliari in Italia, cosa oltremodo vietata nei lager. Era stato quindi sorpreso da Eddy, uno dei "Grüne Spitzen", detenuti comuni tedeschi che in tempo di guerra esercitavano la funzione di vice-Kapò nei campi di prigionia. Eddy, appurato in maniera ingegnosa (poiché non sapeva l'italiano) che il testo non era compromettente, aveva evitato di denunciare l'Autore alla Sezione Politica del campo, il che avrebbe comportato gravi conseguenze, anche letali. Lilít (10 giugno 1979, come Dentro il Lager con Lilít) Durante un acquazzone l'Autore si rifugia all'interno di un grosso tubo metallico insieme a Tischler, il falegname del campo di concentramento, ebreo anch'egli, che gli racconta le storie che la tradizione orale tramanda su Lilít, che contende ad Eva l'onore di essere stata la prima donna del creato. Un discepolo (da AAVV, Secondo Risorgimento, PAC, Torino, 1961; poi rivisto 1º giugno 1975) L'Autore spiega al nuovo arrivato, Bandi, un ungherese, che la vita del campo di concentramento era durissima, e per cavarsela era necessario "organizzare cibo illegale, scansare il lavoro, trovare amici influenti, nascondersi, nascondere il proprio pensiero, rubare, mentire."[2] Bandi, inizialmente contrario ai sotterfugi, in un'occasione regala all'Autore il frutto del suo primo furto: un ravanello. Il nostro sigillo ("La Stampa", 21 agosto 1977) Storia del farmacista berlinese Wolf, amante della musica, e del nano polacco Elias.[3] Lo zingaro ("La Stampa", 2 dicembre 1979) I tedeschi permettono ai prigionieri del campo di prigionia, sotto determinate condizioni, di scrivere ai parenti. L'Autore aiuta Grigo, uno zingaro, a scrivere una lettera alla fidanzata, nella quale le promette – cosa che all'Autore appariva inconcepibile ed insensata – di spedirle una bambola. Il cantore e il veterano ("La Stampa", 16 luglio 1978) Otto, il nuovo capobaracca, un veterano del lager, non era considerato, dai detenuti, fra i peggiori elementi: aveva provveduto personalmente all'igiene del giovane Vladek, che si rifiutava di lavarsi; e, per quanto stupito da una tale risoluzione, aveva permesso al lituano Ezra, "orologiaio di mestiere e cantore di sabato"[4] di osservare, nonostante la fame imperante nel campo, il digiuno di Kippur. La storia di Avrom ("La Stampa", 14 marzo 1976) Nel 1939 il tredicenne Avrom, ebreo di Leopoli, dopo l'uccisione dei genitori vive di espedienti, prima di essere "adottato" come mascotte, nel 1942, dalla locale caserma italiana dell'ARMIR. Nel 1943 viene portato in Italia, dove viene catturato dai tedeschi, fugge, vive qualche tempo nel Canavese presso la famiglia di un suo amico, un alpino italiano disperso, per poi unirsi, insieme a dei cechi arruolati forzatamente nella Wehrmacht e da essa disertori, ai partigiani piemontesi. Il 25 Aprile 1945 lo coglie come radiotelegrafista del Servizio Segreto americano. Dopo la liberazione Avrom, forzatamente dimentico delle esperienze altruistiche vissute in precedenza così come delle lingue imparate nel tragitto, va a vivere in un kibbutz israeliano, ed affida ai posteri in un ebraico elementare le proprie memorie. Stanco di finzioni ("La Stampa", 10 settembre 1978) Considerazioni sul libro Sfuggito alle reti del nazismo, di Joel König[5], e su successive conversazioni dell'Autore con König. Il ritorno di Cesare ("La Stampa", 7 settembre 1980 come L'impresa più ardita di un reduce scaltro) Avventurosa storia del rientro in Italia, dal lager, di Cesare (già protagonista del capitolo V del libro di Levi La tregua[6]). Il ritorno di Lorenzo Lorenzo (già citato nel libro di Levi del 1947 Se questo è un uomo[7]) era un muratore di un'impresa italiana operante nei pressi di Auschwitz, ed aveva molto aiutato, noncurante dei pericoli, l'Autore ed altri detenuti durante la loro prigionia nel lager. Al suo ritorno in Italia Lorenzo, disgustato e rattristato dagli orrori della guerra ("era sicuro e coerente nel suo rifiuto della vita"[8]), si era progressivamente lasciato andare, e, ammalatosi, aveva trovato la morte poco dopo. Il re dei Giudei ("La Stampa", 20 novembre 1977) L'Autore si ritrova in tasca una curiosa moneta che aveva acquisito subito dopo la liberazione di Auschwitz: era stata coniata dall'ebreo Chaim Rumkowski eletto dai nazisti presidente del ghetto di Łódź, entro il quale aveva avuto validità dal 1940 fino al suo smantellamento nel 1944. Viene ricostruita quindi la storia di questo ambiguo "dittatore" del ghetto. Futuro anteriore Una stella tranquilla ("La Stampa", 29 gennaio 1978) Aludra è una stella variabile già osservata da un astronomo arabo che le ha dato il nome a metà del XVIII secolo. Essa è ritornata all'attenzione degli scienziati nel 1950, allorché l'astronomo (probabilmente immaginario) Ramón Escojido, a discapito della pace famigliare, ne ha osservato la probabile trasformazione in nova. I gladiatori ("L'Automobile", 15 giugno 1976) Nicola e Stefania si recano allo stadio a vedere lo spettacolo dei moderni gladiatori, che, armati di un martello, affrontano delle auto in corsa. La bestia nel tempio ("Tuttolibri", 6 agosto 1977) Augustín accompagna due coppie a visitare l'antico tempio dei Trece Mártires, che si trova al di fuori delle rotte turistiche più battute. Il "cortile della Bestia", una sorta di arena ellittica all'interno del tempio, era costruito in maniera verosimilmente impossibile.[9] Augustín attira l'attenzione su un "animale massiccio, bruno, un po' più alto e un po' più grosso di un bufalo di palude"[10] che pascolava fra la vegetazione cresciuta fra i ruderi della platea; la bestia, diventata irrequieta, cerca di uscire dall'arena non riuscendovi. All'uscita dal tempio i turisti incontrano "una folla di mendicanti"[11] che, a detta di Augustín, si radunano colà ogni sera da tempo immemore nella vana attesa che la belva esca dal tempio, per ucciderla e cibarsene. Disfilassi ("La Stampa", 6 agosto 1978) Una sostanza chiamata "ipostenone" era stata in passato usata smodatamente perché evitava il rischio di rigetti nei trapianti di organi, che da allora venivano eseguiti in gran quantità. Ma l'ipostenone si era rivelato tossico e, scarsamente biodegradabile, aveva contaminato l'ambiente, portando alla "disfilassi". In virtù di tale fenomeno, incroci fra specie animali e vegetali diverse (e anche fra i due regni) potevano ora risultare feconde. La stessa Amelia, studentessa universitaria, aveva in sé un ottavo di sangue vegetale, dato che una sua trisnonna era stata fecondata da polline di larice. Dopo aver sostenuto un esame con un professore evidentemente imparentato con dei criceti – non aveva infatti smesso, durante il colloquio, di sgranocchiare una noce che aveva rotto coi denti – Amelia si reca al parco ed accarezza il tronco di un ciliegio, domandandosi se sia o no da preferire al suo fidanzato (umano, in prevalenza) Fabio. Calore vorticoso ("Tuttolibri", 12 agosto 1978) Ettore era uso comporre brevi frasi palindrome, come una sera nell'afa di un luglio romano, al punto che la realtà stessa gli era sembrata scorrere indifferentemente verso il futuro o ritornare verso il passato. Ettore, nel chiedersi il perché di un tale fenomeno, aveva formulato un altro palindromo: "O soci, troverò la causa, la sua: calore vorticoso".[12] I costruttori di ponti ("La Stampa", 27 agosto 1978) Danuta, "fatta come i cervi e i daini"[13], è affascinata dal vecchio ponte in pietra vicino al suo abbeveratoio consueto, utilizzato anche da unicorni e minotauri. Un giorno ella scopre "un animaletto" che aveva abbattuto dei faggi, e si dice sicura essere stato lui il costruttore del ponte; lo cattura e gli costruisce una gabbia, dalla quale però l'animale fugge. La notte seguente Danuta e gli altri animali della foresta si trovano circondati, come in una gabbia, da un incendio, al quale pare impossibile sfuggire. Self-control ("La Stampa", 26 novembre 1978) Gino, manovratore su una inea di autobus urbani, complice anche un libro di materia medico-anatomica, sviluppa una certa ipocondria a seguito della quale viene trasferito, dall'azienda di trasporti, ad una mansione meno qualificata. Dialogo di un poeta e di un medico ("La Stampa", 2 ottobre 1977, come Costumi) Un poeta si rivolge ad un medico lamentando il proprio malessere esistenziale. Il medico, naturalmente, non può far nulla se non prescrivergli dei medicinali. All'uscita dallo studio, il poeta accartoccia la ricetta. I figli del vento Descrizione dei curiosi mammiferi dell'isola (immaginaria) di Mahoi: gli "atoúla", maschi, e le loro femmine, le "nacunu", designati inusualmente con nomi diversi pur appartenendo alla medesima specie, a causa del "netto dimorfismo sessuale che li caratterizza."[14] Fra questi animali non esiste accoppiamento: gli atoúla emettono il loro seme al vento, che lo disperde, e feconda le nacunu. La fuggitiva ("La Stampa", 6 luglio 1979) Il foglio di carta su cui Pasquale, impiegato, ed occasionalmente poeta, aveva scritto in preda ad un'ispirazione incontrollabile, una poesia che giudicava ben riuscita, si era messo a vivere come di vita propria, fino a distruggersi; e Pasquale non era stao più in grado di rammentarla. "Cara mamma" ("La Stampa", 21 ottobre 1979) Lettera alla madre di un soldato italiano della Val di Susa, appartenente alla guarnigione romana stanziata nella Britannia, presso il Vallo Adriano, datata presumibilmente fra il II ed il V secolo. In essa lo scrivente racconta degli usi della popolazione locale, e della donna che ha sposato, la britanna Isidora. A tempo debito ("La Stampa", 25 maggio 1980) Giuseppe ha un appuntamento con uno sconosciuto, che gli comunica che il suo compito è di ucciderlo. Perché l'esecuzione risulti indolore, il sicario si fa rimettere un assegno, che Giuseppe volentieri compiega. Tantalio ("Il Mondo", 1973) Un chimico mette a punto una vernice a base di tantalio che protegge dalla sfortuna. Dopo alcune prove che confermano questa sua qualità, si decide di sperimentare il preparato sul signor Fassio, noto fin dall'adolescenza per avere uno sguardo iettatore (anche questo fatto è stato appurato scientificamente). È Fassio stesso che chiede gli vengano verniciati gli occhiali colla nuova sostanza, ma appena li inforca cade morto. La vernice – così il chimico si spiega l'accaduto – deve aver riflesso lo sguardo nefasto di Fassio all'interno dell'occhio, e di lì è stato trasmesso, concentrato, al cervello, con conseguenze letali. Le sorelle della palude ("La Stampa", 25 dicembre 1977, come Lancio il mio appello alle sorelle della palude) Una sanguisuga residente in un terreno paludoso si rivolge agli animali suoi congeneri, invitandoli alla moderazione, per non incorrere in conseguenze sgradevoli. Un testamento ("La Stampa", 16 ottobre 1977) Lettera di accompagnamento al testamento di un cavadenti, indirizzata al figlio, con istruzioni sul modo di meglio esercitare la professione. Presente indicativo Gli stregoni Due etnografi, costretti a sostare un mese in un villaggio Siriono[15], non riescono, per mancanza di materie prime e di sufficiente capacità, a mostrare ai nativi la fabbricazione di qualche manufatto, per quanto semplice, rappresentativo della moderna tecnologia occidentale. La sfida della molecola ("La Stampa", 20 gennaio 1980) Un operaio specializzato di una industria chimica, per errore o per fatalità, rende inservibile una gran quantità di materia prima, con annesso quindi danno economico. L'episodio, consistente nella trasformazione non voluta di un composto in un altro, dannoso ed inutile, mostra "l'irrisione delle cose senz'anima che ti dovrebbero obbedire e invece insorgono".[16] La valle di Guerrino ("La Stampa", 3 ottobre 1976) Storia di Guerrino, "l'eremita girovago"[17], un "pittore di Madonne"[18], attivo in una valle di mezza montagna, e scomparso misteriosamente verso il 1916. I suoi dipinti sono ancora visibili: in essi campeggiano, nei panni di figure dell'iconografia sacra, ritratti di persone reali, eseguiti da Guerrino con intenti variamente encomiastici, o di scherno, o ancora ironici. La ragazza del libro ("La Stampa", 15 agosto 1980) Umberto riconosce nell'anziana signora Harmonika Grinkavicius, lituana di nascita, che vive riservata in un curioso villino della riviera, la protagonista di un libro di memorie di un soldato inglese, che la descrive "come un'amante senza eguali, impetuosa e raffinata, mai distratta."[19] L'incontro ed il colloquio con la signora riveleranno aspetti diversi. Ospiti ("La Stampa", 16 aprile 1978) Pochi giorni prima della fine della guerra, con l'esercito tedesco ormai sbandato, il partigiano Sante incontra, una notte, nel proprio paese dell'Italia settentrionale, due soldati tedeschi, impauriti, in ritirata ed affamati. Sante li rifocilla a casa propria, ma nello stesso tempo li cattura e li consegna al comando partigiano, avendo cura tuttavia che di loro non venisse fatta giustizia sommaria. "Sante (…) si sentì contento di aver finito la sua guerra in quel modo."[20] Decodificazione ("Prospettive Settanta" n. 3, luglio-settembre 1976) L'Autore identifica con sagacia il responsabile del tracciamento di svastiche o scritte consimili in paese ("Le scritte sui muri mi spiacciono, specie se sono idiozie fasciste"[21]): è un quindicenne; e ne trae riflessioni. Fine settimana ("La Stampa", 10 febbraio 1980 come Verso la vetta con il burocrate) L'Autore e il suo amico Silvio, nel luglio del 1942, si recano in un albergo di Chiesa in Valmalenco nell'intento di affrontare, la mattina successiva, l'ascensione al Monte Disgrazia. Si presenta un carabiniere e rende loro noto che, in virtù delle leggi vigenti, non è consentito a degli ebrei di soggiornare in località situate a meno di 10 kilometri dal confine nazionale. La vertenza si risolve trattenendo i due amici in consegna in albergo, a spese dello Stato, fino alla corriera del mattino successivo, prendendo la quale l'Autore e Silvio sarebbero rientrati nell'area del territorio a loro consentita. L'anima e gli ingegneri ("La Stampa", 23 agosto 1981) L'ingegnere minerario Guido Bertone racconta di come la ditta per cui lavorava aveva ottenuto una concessione per la ricerca e l'estrazione del bitume in una zona dello Utah. I proprietari dei terreni interessati, allettati dalle alte cifre che l'azienda sborsava per comprarli, avevano tutti venduto i propri possedimenti, tranne l'anziana signora MacLeish, che affermava di non poter vendere per ragioni morali: l'anima di sua madre, infatti, risiedeva, a suo dire, in cima ad un alto rovere del suo giardinio. Solo dopo essersi accordata con l'azienda mineraria per l'estirpazione del grosso albero ed il suo trapianto in altra zona, e dopo essersi assicurata della buona riuscita dell'operazione, si era risolta a vendere. Breve sogno ("La Stampa", 27 giugno 1976) Riccardo, impiegato in un'agenzia pubblicitaria ed aspirante poeta, condivide lo scompartimento del treno per Napoli con una ragazza, una studentessa inglese di letteratura italiana, diretta a Salerno. Addormentatosi, egli sogna di essere il Petrarca e che la ragazza è Laura. Giunto a Napoli, Riccardo le chiede se vuole smontare dal treno con lui, ma la giovane non accetta e gli risponde che "quanto piacce al mondo è breve sogno". |
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Primo Levi - Lilìt e altri romanzi
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