Wallace Stevens - Aurore d'autunno


Vincitore

1951

Wallace Stevens

Aurore d'autunno

The Auroras of Autumn

 

Adelphi, 2014

 

Aurore d'autun­no è il libro più trasparente di un poeta sovranamente arduo. Giunto alla soglia dei settant'anni, Stevens medita in pentametri giambici sulla propria vita, sulla poesia e, di fronte allo spettacolo incandescente della natura, accusa il fallimento del­l'immaginazione. Ma lo fa, pa­radossalmente, in poemi perfetti, come Una sera qualunque a New Haven. Le aurore d'au­tunno, scrive nel novembre 1950 a Paule Vidal, sono «le notti di primo autunno che a volte a Hartford hanno lo stesso riverbero dell'auro­ra boreale». E la loro «effulgescenza artica» impone un nuovo re­gistro linguistico: abbandonato il tono sublime, il vecchio poeta lascia che affio­rino parole semplici, piane. È una vera e propria svolta, che ci rivela uno Stevens insolito, incline all'immanenza, a un appassionato rapporto con la terra. L'uo­mo è colto nel suo habitat naturale che è fatto di tempo atmosferico: se alza gli occhi al cielo le cose appaiono di una so­litu­dine cosmi­ca, e lo sguardo si abitua a un'as­sen­za di rivelazione. È qui la novità delle Aurore. L'autunno non è la stagione keatsiana della bellezza dolce e matura: verso la fine della vita la realtà appare più povera di desiderio, più priva di speranza – e anche più vera. In questo senso Stevens è, non meno di Eliot e Pound, poeta dell'e­poca moderna. Non a caso, Harold Bloom definirà la nostra non «l'età di Pound», ma «l'èra di Stevens». E North­rop Frye incoronerà Stevens come «uno dei nostri poeti essenziali».

 

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