Poul Anderson - Tre cuori e tre leoni


 

 

 

 

 

 

 

 

Poul Anderson

Tre cuori e tre leoni

Three Hearts and Three Lions, 1953

serie Operation Otherworld

# 2.5

La Tribuna, 1971

 

J. B. Fletcher ha scritto che la fantascienza, come del resto buona parte della narrativa contemporanea, ha notevoli affinità strutturali e ideologiche con il mondo allegorico. E' praticamente impossibile riassumere qui le caratteristiche coincidentali, dall'agente demonico all'ornamento cosmico, che la science fiction mutua dall'allegoria. Ma è il caso di ricordare, tanto più a proposito data la natura di questo celebre romanzo di Anderson, che ci troviamo di fronte a un testo il quale rappresenta una specie di versione speculare, in senso fantascientifico, del romanzo medievale; e non per le troppo facili analogie esterne, ma proprio per le sue strutture: la vicenda dominata dalla classica quest, o ricerca mistica, l'impulso letteralmente demonico che spinge il suo protagonista, i paralleli allegorici tra le Orde del Caos e la minaccia della Germania nazista. Ma se questa è materia esemplare di speculazione, scendendo a considerazioni più accessibili bisogna ricordare che questa storia di Anderson (apparsa in precedenza, in una versione più breve su Fantasy e Science Fiction, che in Italia ebbe una traduzione sulla quasi leggendaria Fantascienza Garzanti) si raccomanda al lettore non appassionato collezionista di saggi estetici per le sue qualità più immediate: una vivacità d'invenzione senza appesantimenti, una sotterranea carica di ironia e di autoironia che culmina proprio nella rappresentazione d'un mondo in cui sarebbero possibili incantesimi e miracoli, un linguaggio nervoso e teso, plastico ed immaginoso. Stare a rivedere le bucce del retroterra culturale di Anderson in questa particolare vicenda, e analizzarlo criticamente sarebbe un esercizio divertente ma sterile; certo, gli si può rimproverare d'aver fieramente mescolato elementi di due cicli diversi, quello arturiano e quello carolingio (più qualche prestito dalla mitologia tedesco-scandinava), come può osservare da sé chiunque abbia letto Wace e il Boiardo, Chrétien de Troyes e Geoffrey di Monmouth, Marie di Francia e la Chanson de Roland. Tuttavia quando (facendo le debite proporzioni) si rilegge l'Eneide, non si è certo immediatamente spinti a chiedersi come mai Enea possa amare e abbandonare Didone, se è vissuto quattrocento anni prima di lei; e confusioni gigantesche e sacrileghe sul conto di personaggi epici le hanno combinate molti altri autori classici: Stazio, per citarne uno solo, in base a un criterio appena appena rigoroso meriterebbe la fucilazione, e probabilmente anche Euripide e Sofocle: quindi, perché prendersela con Anderson? Perciò è il caso di tralasciare scrupoli superflui e di apprezzare questo romanzo, il capolavoro di Poul Anderson, ed uno dei più belli della science-fantasy, per quello che è: un'opera unica nonostante i suoi confessati prestiti dai romanzi cavallereschi e da Un americano alla Corte di re Artù, un romanzo d'una freschezza incantevole, d'una immediatezza accattivante, delizioso e irripetibile, lontano dagli eccessivi forzati pseudocerebralismi e dalla pseudopoesia che inquinano parte della fantascienza attuale, come dalle vistose dabbenaggini della space-opera più diffusa. 

 

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