V. S. Naipaul
India
Un milione di rivolte
Trilogia indiana:
- Un'area di tenebra
- Una civiltà ferita: l'India
- India. Un milione di rivolte
Mondadori, 1991 (Prima pubblicazione: 1991)
L'ultimo volume di una
trilogia dedicata da V.S. Naipaul all'India (dopo "An Area of
Darkness" e "A Wounded Civilization*) vuole cogliere le sfaccettature
del microcosmo indiano dando la parola ai protagonisti. In particolare, i
lunghi colloqui avuti a Bombay sono di norma mediati da una terza persona, un
interprete che fa da tramite, non solo linguistico, tra Naipaul e la realtà
locale. L'impianto è innovativo rispetto ai precedenti libri sull'India,
costruiti attorno alle vicissitudini di un io viaggiante calato nel marasma
della vita indiana, con esiti stilistici di commedia delle parti. Il filtro
oggettivo che l'autore frappone tra la sua visione e l'incontro con la
multiforme realtà indiana ha tuttavia come contrappunto un patrimonio personale
di ricordi e impressioni maturate nei viaggi precedenti. Il flusso di memoria
si rafforza a mano a mano che Naipaul s'inoltra nel subcontinente, venendo a
contatto ora con la "modernità" di Bombay, in cui allo sviluppo
industriale e al sommovimento di gerarchie considerate immutabili nella società
s'intrecciano comportamenti politici e religiosi ispirati alla tradizione, ora
con la decadenza di una Calcutta e di un Bengala ormai invivibili, nei quali si
è persa traccia dell'ottocentesca cultura di frontiera tra oriente e occidente,
ora con un meridione indiano incapace di svincolarsi dal proprio passato. Di
fronte a un tale cumulo di dati, spesso in contrasto, le reminiscenze personali
dell'autore introducono sequenze di sviluppo diacronico dentro il mondo
atemporale indiano. Nell'ambito di questo grande movimento Centrale si
articolano due successivi paradigmi d'interpretazione: la rivolta contro il
sistema brahminico delle caste e l'incapacità che i brahmini stessi hanno di
uscire da un torpore ormai più genetico che culturale, come indicano
soprattutto due episodi ambientati nel Sud.
L'ossessione per la purezza dell'identità di gruppo è al centro di un capitolo ("L'ombra del Guru") dedicato al terrorismo sikh, le cui radici di violenza attingono al ricordo di antiche persecuzioni e alla consapevolezza di vivere in un mondo dominato dall'ingiustizia e dalla violenza. Il risentimento cupo e astioso con il quale la comunità sikh rivendica la propria immagine specifica nei confronti del multiculturalismo indiano non è forse del tutto estraneo, fatte le debite proporzioni, all'atteggiamento psicologico dell'emigrato Naipaul (nato a Trinidad, da famiglia di alta casta originaria dell'India) verso la propria terra di origine, luogo mitico e reso sacro dalla lontananza, ma estraneo e deludente alla conoscenza diretta.
D'altra parte, lo scrittore ha sempre lacerato il proprio equilibrio nella posizione scissa di chi non riesce a cancellare il patrimonio a lui trasmesso dall'induismo, pur riconoscendosi di fatto nella "superiore" cultura Occidentale, considerata sin dagli anni giovanili come l'unica possibilità di riscatto offerta agli emarginati del terzo mondo. Il "milione di rivolte" ("A million mutinies now", come indica il sottotitolo inglese del volume) con cui Naipaul vuole ridefinire la realtà e l'identità indiane è forse proiezione intensificata di un dissidio interno all'autore; non vi sono comunque dubbi sulla tecnica postmoderna che privilegia la posizione di chi sta ai margini contro la sicurezza di chi conduce il discorso dal centro, operando analisi a tutto campo. Bisogna tuttavia dire che la decisione di muoversi nel disordine apparente del frammento o nella dispersione dei significati richiama l'eredità equivoca del viaggiatore orientalista o dell'indagine etnografica ottocentesca, che vede nell'eterogeneità il carattere specifico dell'India. (Marco Vasta)
L'ossessione per la purezza dell'identità di gruppo è al centro di un capitolo ("L'ombra del Guru") dedicato al terrorismo sikh, le cui radici di violenza attingono al ricordo di antiche persecuzioni e alla consapevolezza di vivere in un mondo dominato dall'ingiustizia e dalla violenza. Il risentimento cupo e astioso con il quale la comunità sikh rivendica la propria immagine specifica nei confronti del multiculturalismo indiano non è forse del tutto estraneo, fatte le debite proporzioni, all'atteggiamento psicologico dell'emigrato Naipaul (nato a Trinidad, da famiglia di alta casta originaria dell'India) verso la propria terra di origine, luogo mitico e reso sacro dalla lontananza, ma estraneo e deludente alla conoscenza diretta.
D'altra parte, lo scrittore ha sempre lacerato il proprio equilibrio nella posizione scissa di chi non riesce a cancellare il patrimonio a lui trasmesso dall'induismo, pur riconoscendosi di fatto nella "superiore" cultura Occidentale, considerata sin dagli anni giovanili come l'unica possibilità di riscatto offerta agli emarginati del terzo mondo. Il "milione di rivolte" ("A million mutinies now", come indica il sottotitolo inglese del volume) con cui Naipaul vuole ridefinire la realtà e l'identità indiane è forse proiezione intensificata di un dissidio interno all'autore; non vi sono comunque dubbi sulla tecnica postmoderna che privilegia la posizione di chi sta ai margini contro la sicurezza di chi conduce il discorso dal centro, operando analisi a tutto campo. Bisogna tuttavia dire che la decisione di muoversi nel disordine apparente del frammento o nella dispersione dei significati richiama l'eredità equivoca del viaggiatore orientalista o dell'indagine etnografica ottocentesca, che vede nell'eterogeneità il carattere specifico dell'India. (Marco Vasta)
Nessun commento:
Posta un commento