Arrigo Benedetti - Il ballo angelico



Arrigo Benedetti

Il ballo angelico

finalista 1968

Mondadori, 1968

 

Poche volte è accaduto a Benedetti di arrivare all’individuazione cosî definita e stringente di un personaggio e di una vicenda, come in questo “ritratto d’artista”. Utilizzando materiali della sua fantasia, dai temi più ombrosamente ambigui ai morbidi paesaggi della valle del Serchio, e obbedendo a una precisa suggestione storica, Benedetti vi è pervenuto mediante una sottile operazione mimetica, rispondente alle sue intime doti di evocazione e di timbro. Nel tessuto del romanzo, che sembra ricomporre le fila di una realtà più ascoltata che vista, non sarà difficile cogliere infatti elementi e misure che riecheggiano la trasposizione “lirica”, l’incantesimo della quarta parete di una scena musicale. Chi è Michele, con la sua personalità invadente e insieme trasognata, il suo volontario esilio, la fuga dal mondo, il rifiuto della storia? Alcuni tratti potrebbero in qualche modo suggerire l’immagine di un celebre “uomo di musica” del recente passato: ma, nella reinvenzione romanzesca, analogie e coincidenze si perdono. La solitudine di Michele, popolata dalle inquietanti ombre che da secoli allignano lungo il Serchio, e dominata dal senso della morte, i suoi schermi privilegiati, il suo amor vitae hanno un valore e un significato emblematici. Chiuso in sé, crudelmente geloso delle proprie fantasie quanto della propria immagine, egli si ritrae dinanzi alla tentazione della realtà e della storia, come certi viandanti d'altri tempi davanti al signore dal piede forcuto. Ma nella sua rinunzia non si annidano altrettanti miraggi, la sua esperienza non si colora delle medesime luci di un “ballo angelico”?

 

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