Guglielmo Petroni - Il nome delle parole



Guglielmo Petroni

Il nome delle parole

finalista 1984

Sellerio, 2011

 

Una autobiografia esemplare ed essenziale, un racconto che va dalla prima infanzia agli anni dell’affermazione e mette a nudo la parte segreta di uno scrittore di grande sensibilità; un’esperienza che conserva un pezzo significativo del Novecento italiano dal fascismo al dopoguerra. Scrive Andrea Camilleri nella Nota a questo volume: «Nella mia vita ci sono stati due libri che mi hanno formato non come scrittore, ma come persona. Il primo era stato La condizione umana di Malraux, il secondo indubbiamente fu Il mondo è una prigione» di Guglielmo Petroni. Fu, dunque, Petroni uno dei protagonisti della cultura italiana del secondo Novecento, come poeta, come narratore e anche come organizzatore (essendo tra i creatori del terzo programma radiofonico). Il nome delle parole è il libro autobiografico dal quale traspare un desiderio di sintesi, di bilancio: quasi un giustificare la scelta di dedicarsi, lui di famiglia povera, bambino autodidatta, alla cultura; scelta sentita simile a una sorta di tradimento del destino di nascita suo e di quelli come lui di non potersi esprimere. Un racconto che va dalla «casa povera» alla «casa giusta», cioè dalla prima infanzia agli anni dell’affermazione. Scandito in tre tempi. Il tempo dell’infanzia, in cui un essere sensibile alla bellezza apre gli occhi dentro «una vita povera che non conosce il nome dei colori e nemmeno quello delle parole». Il tempo dell’adolescenza, in cui per caso Guglielmo s’incontra con l’arte e l’arte gli trasmette il bisogno imperioso «di impossessarsi delle parole necessarie per adeguarsi agli oscuri sovvertimenti che le nuove immagini avevano provocato nel mio povero spazio spirituale»: un bisogno di lettura di poesia e di scrittura. Il tempo infine della giovinezza e della maturità quando «scoprivo che gli idoli potevo sistemarli tranquillamente nel mio quotidiano»: e gli idoli sono le amicizie e gli scambi memorabili, ai tavoli del «Quarto Platano» a Forte dei Marmi, delle «Giubbe Rosse» a Firenze o del «Caffè Aragno» a Roma in un archivio di incontri alla pari con tutti, davvero tutti, i grandi della cultura italiana del dopoguerra. Il nome delle parole è un’autobiografia scritta sul finire della vita, e dell’autobiografia conserva il timbro di verità di un’esperienza che conserva un pezzo significativo del Novecento italiano dal fascismo al dopoguerra. Ma è anche il racconto di uno scrittore di grande sensibilità e capace di trasmettere immagini che si stampano nella mente. E la verità diventa opera d’arte, cioè il rispecchiarsi nella storia di un singolo dell’esperienza universale. Solo un bambino del Novecento poteva sentire così fortemente la miseria come essenzialmente privazione di parola, così come solo un adolescente di quel secolo appena scorso poteva vivere l’incontro con la cultura come sconvolgente, irripetibile, antiretorico, incontro con la libertà.

 

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