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Niccolò Tucci |
Gli atlantici |
Vincitore 1969 |
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Garzanti, anno |
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Un libro intriso di sfoggio estetico in forma di racconto ibrido, un po’ biografia e un po’ favola, un po’ romanzo e un po’ saggio, un po’ una cosa seria e un po’ uno scherzo, dove ognuno di questi confini si percepisce esserci ma non lo si distingue chiaramente. La vicenda si svolge nella Lugano alto-borghese degli inizi del ‘900, residenza di industriali italiani ed esuli dell’aristocrazia russa e la voce narrante è un bambino, figlio di una famiglia il cui padre è, appunto, un industriale italiano originario della Puglia e la madre un’aristocratica russa divorziata. La voce è immediatamente surreale e così rimane per tutto il libro. Il bambino parla come un adulto cinico e smaliziato e le vicende assumono tinte grottesche sullo sfondo dell’Europa che si avvicina alla Prima Guerra Mondiale. Tucci mescola sketch da cabaret con protagonista il bambino e i suoi fratelli e sorelle alla descrizione della società alto-borghese e profondamente contraddittoria di Lugano, le incomprensioni tra i genitori e i loro patimenti per la vicenda scandalosa del divorzio della madre. Tutto è ricoperto da una patina di allucinazione, una visione distorta dell’infanzia, quasi degenere, secondo l’idea che si possa vivere cercando di perpetuare un’eterna infanzia ma che ciò porti inevitabilmente all’assurdo. |
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Niccolò Tucci - Gli atlantici
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