Silvana Grasso - Nebbie di ddraunara


Silvana Grasso

Nebbie di ddraunara

Premio Giovane Autore Esordiente 1994

La Tartaruga, 1993


Nebbie di ddraunàra, sin dal suo incipit ci parla di una scrittura dell’altro, di una lingua dell’altro, soprasensibile perché usata nel suo registro illustre ed espressa in modo più enigmatico e complesso. Un italiano forbito viene infatti accompagnato da presenze dialettali modulate. Un italiano aulico e ricco di arcaismi rende onore agli interventi del dialetto che viene così innalzato: illustre anch’esso, sontuoso, echeggiante, nella netta scelta linguistica, la prosa poetica di Vincenzo Consolo o di Gesualdo Bufalino. Si fa ricorso al fiorire denso di figure retoriche  in un ritmo metrico, come se la parola provenisse da un fondo misterioso, comune anche alla musica. Anche qui c’è l’umanità, quella folle ricerca ontologica, l’uomo, con tutte le sue contraddizioni e le sue increspature, con i suoi punti fermi ma straniati nella battaglia per la vita, dove la morte è come una vicina di casa (dirà Grasso nel suo penultimo romanzo), accettata come compimento e catarsi. L’umanità che compone queste storie del ‘93 viene presentata da un conflitto che si risolve nella brevità del racconto in un crescendo che è rivelazione, colpo di scena. Un difetto fisico, un dettaglio del corpo, una difformità è qui sempre infida e silenziosa ed emerge spesso a risolvere tragicamente alcuni racconti, quasi fosse l’agnizione di un personaggio: l’utero non sviluppato  della pelosa Pasquina Sanguedolce che ha l’odore di un uomo; il verme solitario di Cicala; l’aborto di Venturina.

 

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