Vincenzo Consolo - Retablo


Vincenzo Consolo

Retablo

Vincitore narrativa italiana 1988

Mondadori, 2013


«Retablo» — dice uno dei più sintetici e usuali dizionari della lingua castigliana — è «conjunto de figuras que representan la serie de una historia ò suceso»: e la scegliamo, questa definizione, che può sembrare angusta come quella che invece sottrae la parola all’ambito della pittura, cui appartiene, per vagamente sconfinarla nel campo della letteratura e, qui ed ora, in questo racconto cui dà titolo. Perché «retablo» è questo racconto non soltanto per il suo alludere alla pittura e, con quasi medianico gioco à rebours, a un pittore; ma per il suo svolgersi in figure di incantata e incantevole fissità, pur circonfuse di un movimento, di un cangiare e trepidare di linee, di colori, di eventi luministici che si direbbe aspirino, al di là delle parole, ma restando certa ogni parola, a una più ineffabile condizione. Sicché si può dire, per quel che vi si svolge e per come è scritto, che questo racconto è come un miracolo: il che, per altro esattamente si conviene alla parola «retablo», di solito i «retablos» in pittura rappresentando sequenze di fatti miracolosi. Con questo racconto Vincenzo Consolo — cui già La ferita dell’aprile, Il sorriso dell’ignoto marinaio, e altre cose sparsamente pubblicate assegnavano una situazione di notevolissima e appartata presenza nella letteratura italiana d’oggi — raggiunge una sua perfezione e compie, nella tradizione della narrativa siciliana, una specie di «rovesciamento della praxis» realistica che a questa tradizione è peculiare.

 

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