Manlio Cancogni - Il genio e niente


Manlio Cancogni

Il genio e niente

Finalista narrativa italiana 1988

Longanesi, 1987


Protagonista del romanzo di Manlio Cancogni è Guido Reni, pittore, che ci è descritto nel suo viaggio andata e ritorno tra Bologna e Roma. Temi principali sono, invece, l’insoddisfazione degli artisti, la rivalità tra gli stessi e il cosiddetto rapporto arte – vita. La vicenda è ambientata nel 1601, anno nel corso del quale Reni ebbe modo di andare a Roma, laddove gli fu anche commissionata “La Crocifissione di San Pietro”, peraltro eseguita, in quegli stessi anni, anche dall’astro nascente dell’epoca, cioè Michelangelo Merisi, il Caravaggio. Trattandosi di un romanzo e non di una ricostruzione storica, è evidente che i dialoghi immaginati dall’autore sono funzionali alla narrazione e non fedeli riproduzioni della realtà storica. Ciò non toglie nulla al valore del libro, che offre, a prescindere dalla vicenda di Reni, diversi spunti di riflessione. Con un continuo utilizzo di salti temporali, l’autore ci evidenzia la differenza tra le speranze che Guido (nell’opera sempre chiamato solo con il nome) nutre nel viaggio di andata, compiuto assieme all’amico Gino e all’altro pittore Francesco Albani, e la disillusione feroce che caratterizza il ritorno a Bologna. A Roma, infatti, Guido, che pure ha riscosso successo, ha avuto modo di conoscere l’opera del Caravaggio, e se in un primo momento ciò non l’ha scosso, in seguito, grazie anche allo stimolo dell’amico Gino, in lui è cresciuto il disagio causato dal confronto tra la sua “Crocifissione” e quella di Caravaggio. L’amico Gino, ex-aspirante pittore e ormai dedito più alla caccia alle gonnelle che all’arte, gli sbatte in faccia verità che altri, magari in maniera ipocrita, non hanno avuto modo di svelargli, sia in rapporto alla sua maniera di concepire e realizzare le opere artistiche sia per quanto riguarda il suo rapporto con l’esistenza e in particolare con le donne. Nella mente di Guido, così, scattano meccanismi perversi che lo portano a sminuire le sue capacità, a essere perennemente insoddisfatto, a dubitare che quell’ideale di bellezza incontaminata alla quale si atteneva possa davvero essere il suo modo di lavorare. Il raffronto con lo stile carnale e vivido dell’opera di Caravaggio gli appare, quindi, crudele, e solo il pensiero di riabbracciare la sua Bologna e sua madre valgono a lenire quel disagio che l’amico Gino sembra sadicamente voler sottolineare. Tornato a Bologna, infine, troverà l’improvvisa quanto insperata forza di riprendere a dipingere. Nell’epilogo, che fa capitolo a parte, Cancogni, citando per la prima volta Reni in maniera esplicita, fa riferimento all’opera “La carità”, alla cui realizzazione egli si è ispirato per questo romanzo che non è una biografia di Guido Reni, ma che prende come spunto il viaggio dell’artista a Roma per analizzare, anche attraverso i dialoghi tra Guido e Gino, diversi aspetti che possono benissimo essere trasposti anche, ad esempio, al rapporto “scrivere-vivere”, al centro di così tanti romanzi.

 

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