Augusto De Angelis - Il candeliere a sette fiamme


 


Augusto De Angelis

Il candeliere a sette fiamme

Serie Carlo de Vincenzi

# 6

 

Sellerio, 2005

 

Oltre la presa tipica dell’intrigo poliziesco, questo romanzo del padre nobile del giallo italiano può attrarre anche per un curioso interesse storico. Può servire da esempio per illustrare la politica del fascismo verso la narrativa criminale; politica che imponeva per i protagonisti negativi nomi stranieri e ambienti bizzarri e inusuali. De Angelis, il quale nel 1944 fu ucciso dall’aggressione violenta di un fascista, scrisse i suoi romanzi nel Ventennio e, senza in nulla essere un entusiasta – anzi, dal commissario De Vincenzi, il detective da lui creato, irradia un pessimismo poco conforme – non sfugge alle regole. Così Il candeliere a sette fiamme inizia con la scoperta di un cadavere di incerta nazionalità, sventrato in uno squallido alberguccio di Milano, ma porta il commissario De Vincenzi ad attraversare il Mediterraneo nel seguito dell’inchiesta, che rapidamente volge in un’avventura di spionaggio implicante l’appena nata questione palestinese, con sprazzi tenebrosi e quasi gotici (come già il titolo fa presagire). Naturalmente, tranne De Vincenzi e il suo aiutante, i personaggi sono appunto tutti stranieri e assai bizzarri: un uomo ragno, un tipetto di inglesina, tedeschi-arabi, e una organizzazione di ebrei. E – seconda curiosità storica e non meno importante – gli ebrei, se pur descritti fisicamente un paio di volte secondo lo stereotipo all’epoca imperante, al contrario di questo, moralmente sono gli eroi positivi, e De Vincenzi sta visibilmente (e malinconicamente) dalla loro parte. A riprova di quanto diceva Chesterton, che il romanzo poliziesco «si basa sul fatto che la moralità è il più oscuro e ardito dei complotti».

 

Nessun commento:

Posta un commento