Augusto De Angelis - L'Albergo delle Tre Rose


 


Augusto De Angelis

L'Albergo delle Tre Rose

Serie Carlo de Vincenzi

# 7

 

Sellerio, 2002

 

Augusto De Angelis è considerato il capostipite del giallo all’italiana. Inventore, come scriveva Oreste del Buono, di un detective, il Commissario De Vincenzi «umanissimo come il Maigret di Simenon, romantico come il Marlowe di Chandler, intellettuale come il Vance di Van Dine, eppure caparbiamente italiano». De Angelis scriveva in età fascista, e nel Ventennio il giallo non era genere gradito, a meno che i personaggi non agissero in loro ambienti marginali, popolati di individui bizzarri ed eccentrici, mai rappresentativi dell’italiano medio, stranieri preferibilmente. Era così nel primo romanzo pubblicato in questa collana Il mistero delle tre orchidee, la cui trama si svolge nel mondo cosmopolitico ed ecumenico degli attori. E in questo Albergo delle Tre Rose. Ma quella che a ben vedere funzionava come restrizione e autocensura divenne per De Angelis una risorsa. Il suo eroe, De Vincenzi, in quei mondi diversi può assumere senza apparire sussiegoso, la piega amara dello scetticismo, e dedicarsi, senza irrealismo, a raffinatezze intellettuali. E il mondo del delitto può essere rappresentato nelle tinte fosche, violente e senza romanticismi che anticipano la crudezza di un certo filone del giallo ambrosiano. In un albergo popolato di strani figuri che si dedicano, la notte, al gioco d’azzardo, è stato ucciso, prima pugnalato e poi impiccato, un giovane inglese. Seguono a questo altri omicidi, mentre arriva in albergo un avvocato, anch’egli inglese, che deve leggere agli eredi un testamento la cui validità è, misteriosamente, sottoposta alla presenza di tre bambolette di porcellana. E in questa atmosfera alla Agatha Christie, De Vincenzi indaga, e scopre una verità che alla fine niente ha a che dire con le raffinatezze del delitto all’inglese. Piuttosto con la turpe e disillusa «Milano calibro 9» che sarà di Scerbanenco.

 

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