Il talento di Margherita Oggero reca una percepibile ventata di originalità nello scenario dei romanzi polizieschi nostrani. L'autrice, infatti, vi apporta intrecci singolari e mai banali e uno stile arioso, fresco, impregnato di sano humour. Ma soprattutto lascia entrare la scuola (ambiente che, da insegnante, Oggero ben conosce) in un genere, come quello giallo, a essa di solito estraneo. Infatti, dopo il caso di omicidio affrontato in La rosa tatuata (Mondadori, 2002, a cui si sta ispirando il prossimo film di Luciana Littizzetto), la protagonista, una curiosa e intraprendente professoressa di lettere, nel nuovo romanzo si ritrova a investigare in via ufficiosa a fianco del commissario Gaetano Berardi. Questa volta si tratta del sequestro di una giovane inquilina del suo palazzo, la smorfiosa e impudente Karin Levrone, i cui occhi "sono una pozza di odio puro, non quello generico e transitorio da crisi adolescenziale, da ricerca di sé attraverso l'opposizione agli altri, quello è odio di lucido diamante, odio freddo da fan dell'apocalisse". A coinvolgere l'insegnante più direttamente nella vicenda è il fratello della diciottenne, Cristian ("o forse Christian, l'acca nobilita e favorisce il salto di classe insieme alla jei all'ipsilon e alla kappa"), che rappresenta l'altra faccia dell'adolescenza, quella fatta di brufoli e goffaggine. Sullo sfondo una Torino elegante e borghese, alle prese con la nuova immigrazione proveniente dall'Albania. La scrittrice si sofferma, caratterizzandoli, su personaggi e luoghi, specialmente dell'ambiente scolastico, che con le sue pastoie burocratiche e le sue macchiette ricorda da vicino quello descritto da Paola Mastrocola, autrice torinese e insegnante anch'essa. Le pagine del romanzo volano sotto gli occhi del lettore, rapito da una scrittura equilibrata, piena di brio, che sa creare, grazie all'ironia, anche spazi per riflettere. Senza moralismi, s'intende.
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