Un romanzo popolare, anzi “un romanzetto”: così l’autore ama chiamare i suoi quattordici gialli. E il presente, niente meno, per l’ultima inchiesta di Marè. E naturalmente l’ultima non sarà. Ma giallo e popolare sì. Di genere? Ma sì, con tutti i crismi: trama, mistero, feuilleton, indagini, indagati, svelamento (ma non consolatorio) del mistero... Sembra però di poter dire che quest’ultima prova in prosa di emmequ segni un passo indietro – o in avanti? o di lato? – rispetto ai precedenti. La storia narrata è ancora, come sempre, vicenda privata inserita e intrecciata alla storia dell’Italia e del tempo; come sempre i caratteri si danno soprattutto attraverso il dialogo; come nei precedenti Roma non è solo teatro ma coprotagonista della storia: sì, ma in questo "Troppo cuore", l’azione va a esaurimento (solo un colpo di pistola, insomma), mentre lievita e cresce, col sottofondo di gran jazz e di songs belle assai, ricerca culturale sociologica e morale. C’è insomma, a dispetto del titolo, molto più di cervello che di cuore. Fino alle soglie, o ben addentro, quello che, nato nel ’900 (e se Dio vuole ancora in vita), romanzo saggio fu detto. E così la lingua: la quale, forse per codesto, si dà meno mossa e impastata, meno impasticcata, meno intruglio di italiano e dialetto, di colto e di volgare. E di seguito il Marè, come fosse davvero all’ultima balera, ci diventa tormentato insicuro e malmostoso come mai. E, ma stavolta veramente, sempre più triste solitario y final.
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