Mario Soldati - Lo specchio inclinato


Mario Soldati

Lo specchio inclinato

Vincitore 1976

Mondadori, 1975

 

Quante volte, leggendo i romanzi e i racconti di Soldati, mi sono chiesto da dove viene, di che cosa si nutre quel sottile, mutevole equilibrio che si instaura in essi - storia dopo storia, frase dopo frase - tra coppie sempre diverse di contrari: entusiasmo e ironia, elogio del passato e nostalgia del futuro, razionalità e abbandono, esplorazione minuziosa della mappa del reale e spericolata invenzione del diverso, del gratuito, del non dimostrabile... Un equilibrio grazie al quale, o a dispetto del quale, non c'è pagina di Soldati che non presenti agli occhi del lettore almeno due facce almeno, visto che tra i singoli membri di ogni coppia di contrari e i singoli membri di ogni altra coppia non tardano a nascere, via via, rapporti squisitamente capillari e inquietanti. Da dove viene? D'accordo, qualsiasi risposta a una domanda del genere è. per definizione, impertinente e impossibile (non ci mancherebbe davvero altro, se volessimo e potessimo «spiegare» il fascino, la singolarità, lo stile di uno scrittore!); eppure, per chi conosca Soldati e i libri di Soldati, la tentazione è forte di far risalire l'infinita binanetà dei suoi procedimenti espressivi a un'originaria, segreta lacerazione del suo mondo psicologico e morale, cioè a una sua remota - ma ancora attiva, ancora aperta e sanguinante - «doppiezza». Ebbene, di tale binarietà, di tale doppiezza, è proprio questo libro di scritture simbolicamente confidenziali (un diario intermittente e puntiglioso degli anni 1965-71. Naturale prosecuzione di quello 1947-64 già pubblicato col titolo Un prato di papaveri) a fornirci il diagramma più nettamente leggibile e un dossier addirittura allarmante nel suo intreccio di casualità e attenzione, svagatezza nevrotica e pazienza da certosino. Capriccioso, beffardo, mai distratto, Lo specchio inclinato rispecchia in primo luogo, mi sembra, l'irrefrenabile tendenza del suo autore a raccontare ciò che pensa e a sentenziare su ciò che gli accade, disponendo in figure e in cadenze temporali quel che altri offrirebbe come semplice materiale di riflessione e, per contro, condensando in aforismi non di rado paradossali e sbilenchi. in schegge di provocatorio umor nero, aperture certamente suscettibili di un disteso sviluppo narrativo. L'oggetto testuale e la lettura che ne risulta dispiegano così (come sempre in soldati: ma qui, direi, in uno stadio di particolare incandescenza) una fluidità piena di trabocchetti e di echi, una «facilità» che continuamente si nega, che continuamente rimanda ad altro, come in una lunghissima, intricata, eccitante caccia al tesoro la cui posta sia - chissà quando, chissà dove - la scoperta del proprio cuore. Fatti e personaggi, ricordi e presentimenti, evocazioni di luoghi (la straordinaria geografia di Soldati, così ricca di nomi e di sapori, così araldica e insieme così terrestre!) e riflessioni, più fisiologiche che politiche, sulle strutture sociali e sul loro destino, appaiono immersi, insomma, in quell'oscura trasparenza, in quell'immobilità frusciante, in quella limpidità invisibilmente e drammaticamente incrinata nelle quali ogni lettore di Soldati sa riconoscere a occhi chiusi il tono, la dimensione propria e inconfondibile della sua arte. Giovanni Raboni

 

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