Mauro Curradi - Cera e oro


 

  # 8

Mauro Curradi

Cera e oro


 

Meridiano Zero, 2002

 

"Abituata a vedere il potere incarnato da una sola persona, la gente dei villaggi credeva che Derg fosse il nome di un uomo. Derg, dissero, ha ammazzato suo padre. Da allora il mondo dimenticò l'Etiopia". Così le ultime pagine di "Cera e Oro", di Mauro Curradi, titolo derivato dal nome di un movimento poetico nato in Etiopia alla fine del XVIII secolo. Se è vero, come scrive Simone Weil, che tra il presente che ci lega, e il futuro che creiamo nell'immaginazione, "solo il passato è pura realtà", allora qui ci troviamo di fronte a quel l'indigeribile realtà fatta della memoria reciproca di due mondi a stretto contatto fra loro: quello della colonia bianca dove viene accolto il protagonista Michele, un professore delI'istituto italiano di Stoccolma trasferito all'università di Addis Abeba, e quello rugoso, polifonico di una terra ferita, l'Etiopia, tenuta a bada da una pietà distaccata che impegna per tutto il libro il personaggio-protagonista. Curradi possiede il genio freddo di una prosa tutta mentale che raggiunge qui la massima tensione, a contatto con un altrove vissuto come di sbieco, secondo acuminate pertinenze. A poco a poco la visione si stringe fino a illuminare il vecchio Haile Selassie, l'amico rinnegato di Rimbaud seguito da Curradi nella recitazione ultima del suo potere: "Sua Antichità era il monumento di se stesso. Dietro lo stimolo di un film cercava adesso la memoria non di un fantasma paterno, ma i propri occhi di bambino, incuriositi da un giovane straniero, nato in una terra di cui parlava la lingua e che era stata per lui l'unica prova di un continente altrimenti immaginario". (Giacomo Trinci)

 



Nessun commento:

Posta un commento